mercoledì 21 marzo 2012

L'Irpinia

· nel ghiaccio dei paesi altirpini ero solo nella mia panda. Non proprio solo, c'era la mia macchina e quella dei carabinieri che mi seguiva. I portatori di ansia e depressione.
o Poi sono caduto in un lungo sonno.
o Mi sono risvegliato e il serbatoio della mia macchina era vuoto, gli autobus non passavano più, dei treni erano rimasti solo i binari. Non c'era nessun modo per uscire di qui se non andando a piedi!E poi è venuta la neve. Mi sono sentito morto e ibernato. E volano, volano i fiocchi volteggiando nell’aere, li vedi attorcigliarsi, roteare come in una centrifuga nera nel vuoto. E soltanto alla fine si posano, ghiacciati, sulla fredda, cupa e vuota terra e sotto i nostri piedi stanchi. Passi sordi che risuonano nella cavità della superficie terrestre.Antonio è morto di freddo nel suo prefabbricato di amianto. Lo ha trovato la donne delle pulizie pagata dai servizi sociali alle sette e mezza del mattino, steso a terra con un pacchetto di sigarette ancora in mano.Essere nati qui vuol dire essere nati con nessuna fortuna. Tutto è ostile e la terra trema. Gli occhi delle massaie fissi sui lampadari ad aspettare la scossa. C’è paura, ansia e presagio di ineluttabile tragedia.Poi c’è chi tifa per il Napoli e chi per l’acquedotto pugliese.
o L’Irpinia è fatta di paesi in cui tutti sono stati a Barcellona e nessuno è mai stato al paese a fianco.
Qui molti dicono che si stava meglio sotto i Borbone-Asburgo, io dico che si starebbe meglio sotto nessuno.
L'Irpinia è una puttana triste a pecora che da un lato lo prende in bocca e dall'altro lo prende in culo! Senza godere. E come una vera puttana anche lei ha le sue manie di protagonismo. Ma è triste perché di lei non frega un cazzo a nessuno. Perché non esiste, si perde nell’anonimato di diecimila altri posti uguali, e similmente afflitti. Anche i modi di morire sono molto anonimi : ad Ariano usano buttarsi da un ponte, a Nusco preferiscono buttarsi in mezzo alla statale di notte. A Torella, paese fatto di due discese che finiscono in un vallone, si perdono nella nebbia e ci cadono dentro, a Castelfranci pare che si tuffino nella “jomara”.Il bar che frequento io si trova nel bivio, in mezzo a questi paesi. Lì di solito la luce è sempre cupa e non ci batte mai il sole. C’è una fotografia di una donna morta appesa al muro e da ogni parte i muri trasudano angoscia e rassegnazione.Franco ha appena perso centoventi euro in monete da un euro buttandoli nella macchinetta mangiasoldi dello stato e vuole vendermi dell’eroina per riaggiustare le sue finanze.Vincenzo legge il giornale immobile sul suo pancione e pare essersi accorto all’improvviso di avere sessant’ anni.I cattolici praticanti, numerosi nel villaggio, ingannano nei loro occhi il sospetto che non ci sia nessun Dio. Ma subito abbassano lo sguardo e corrono a pregare al riparo da sguardi indiscreti.Piccoli servetti dello stato, scaltri, piccoli e tristi. Smaniosi di racimolare quattrini nei modi più subdoli e vigliacchi. Felici di pagare anche la tassa su Dio. Ecco perché siamo avvolti da un nulla che non è nemmeno nulla, Dalla borghesia non nasce mai niente. Il loro sindaco,votato con una cecità tipica di un popolo ignorante, schiavo e sottomesso, non ha altre preoccupazioni che riempire le strade di telecamere per video sorvegliare un cimitero. Dicevo ad Eugenio che almeno, quando sarò definitivamente esausto di ogni cosa che contiene il mondo, Nusco sarà un ottimo posto per andare a seppellirmi.Del resto il leit-motiv degli abitanti invece è questo : “Non c’è mai nessuno…perché non lo riempiamo di puttane ‘sto paese…giochiamoci la bolletta che è meglio”. Felici di pagare la tassa allo stato attraverso la Snai e le slot machine. Uomini il cui unico obiettivo da raggiungere nella vita, è vedere dentro un monitor una gallina che caca un uovo d’oro.In un mondo di cannibali, questo è un microcosmo di cannibali spaventati che hanno perso i denti.Di giorno pare ci sia un piccolo slancio verso non so cosa. Appena cala il sole si rivelano animali per quello che sono e si ritirano tutti nelle loro tane come se andassero a pregare una divinità pagana del fuoco, o davanti alla tv, la stessa cosa. E’ un posto non adatto a vivere di sera e non adatto nemmeno di giorno. C’è sempre qualcosa che ti impedisce di vivere e qualcos’altro che ti impedisce anche di morire. Ecco l’idea che ho io dell’inferno. Io non sono Dante ma Virgilio collocava la porta dell’inferno a Rocca San Felice.
L’irpinia è un giardino. E’ un ottimo posto per trovare una sana rassegnazione nel proprio vivere inquieto. Il proprio minuscolo posto nel mondo. Lo spazio.Anche oggi l’aria è salubre e pungente.I nervi non sono distesi, gli sguardi non sono lucidi, il fiato si accorcia, il respiro si appesantisce, le pulsazioni vanno e vengono.

martedì 13 marzo 2012

L'apocalisse

Mi trovavo nella casa di quand’ero bambino. Non mi ricordo come ci ero arrivato. Ero sulla terrazza circondato da tutti i miei amici alti poco più del doppio di un vaso di gerani. C’era Sebastiano, il più basso e chiaro, con i suoi occhiali grandi metà della faccia e Giacomo, scuro coi capelli crespi e i vestiti sempre rossi.
Doveva essere il compleanno di qualcuno, di cui mi ero completamente dimenticato.
Stranito com’ero fissavo l’orologio in cerca di un punto fisso da guardare lontano da occhi indiscreti e mi chiedevo perché passava il tempo.
Tra la tavola imbandita di coca cole, aranciate e patatine sulla tovaglia bianca e azzurra a quadroni e le inferriate marroni del balcone osservavo anche muoversi Sebastiano con una certa inquietudine.
I miei genitori erano una specie di conduttori della festa. Quando mio padre alzò gli occhi al cielo tutti seguirono il suo sguardo.
Vi era una striscia gialla abbagliante sparpagliata lungo tutto il cielo orizzontalmente che avanzava lenta e sembrava tagliare l’atmosfera e tutte le cose. Tutti si chiedevano cosa diavolo fosse.
Sebastiano spuntò fuori con la sua minuta statura e ridacchiando disse che era la carrozza dell’Apocalisse che portava il buio nel mondo.
Nessuno gli fece caso ma io mi avvicinai prontamente a lui e gli chiesi se le cose che diceva avessero un fondamento. Si trovò quasi in imbarazzo, cambiò affermazione poi concluse : -non lo so- .
Qualcuno decise finalmente di accendere la televisione. Era lì che succedevano le cose reali, non sul nostro balcone!
Rimanemmo tutti sbigottiti quando apprendemmo che alla tv era partito un conto alla rovescia per la fine del mondo messo bene in mostra su tutti i canali a reti unificate. Qualcuno si connetteva ad internet e tutti i blog e i social network erano invasi di commenti catastrofici e portavano il cronometro all’unisono.
Dunque era così, adesso ne avevamo le prove, era la fine del mondo e sapevano anche i secondi esatti che ci separavano dalla fine.
La mia festa di compleanno si tramutò in un lacrimatoio, dove ognuno si appoggiava a qualche divano o a qualche mobile come per svenire perdendo le speranze. La luce iniziò a scemare, il sole prese ad eclissarsi.
Non posso dire di non essere stato disperato in quel momento ma sentivo che erano state in qualche modo esaudite le mie preghiere. Volevo che tutto finisse, quello stupido mondo, quella stupida festa, quella stupida gente che avevo attorno costantemente, ogni santo giorno.
Nessuno faceva più caso alla striscia gialla nel cielo alla quale i giornalisti della CNN avevano dato nome di “starlight”. La purificatrice finale.
Si aspettava soltanto la fine. Quando mancavano ormai cinque minuti tutti smisero di fare i razionali o di pregare o di mostrare la propria erudizione in materia stellare e iniziarono ad abbracciarsi. Mi ritrovai abbracciato con tutti. Mancava solo la mia ragazza, chissà dov’era, di sicuro pensava anche a me.
Con il portatile sulle ginocchia si aspettava. La voce più raccomandabile era quella di mio padre che ci istruiva su quello che stava accadendo.
Meno tre , meno due, meno uno. Scattarono gli zeri. Non avvenne niente. Aspettammo altri dieci o venti secondi ma non cambiò nulla.
Era un’enorme bufala. Sui computer e sulle televisioni apparivano scritte che deridevano i creduloni con la promessa, da parte dell’ignoto regista del piano, di fare un fioretto a Pasqua per discolparsi.
Mio padre chiuse il portatile sulle ginocchia e gli uscì soltanto dalla bocca sospirando : - va bè…-. Poi ci fu il silenzio.
Ci avevano creduto tutti e tutti avevano iniziato a sperarci, e molti già avevano iniziato a sentirsi meglio e sollevati dal peso della vita terrena.
Mi veniva da piangere.
Le prime conseguenze furono che la gente cominciò a suicidarsi per la delusione. Avevano tutti intravisto una possiblità di definitiva serenità vicina e perenne e ora gli era stata tolta di colpo.
Si continuava a guardare la tv e il monitor dei personal computer.
Fui l’unico a chiedermi cosa diavole fosse stata quell’enorme striscia gialla che si vedeva nel cielo e pareva erodere tutto il creato. Fui deriso. Arrivò mia sorella, poco più grande di me a dirmi che ero pazzo per prima. Avevo avuto le allucinazioni, ma non ne ero sicuro. Cos’era veramente successo non lo sapevo più.
Ero solo certo di aver vissuto un’allucinazione collettiva e di essere stato l’unico a ricordarmene.
Ricordo solo che quando iniziai a vedere le montagne che si aprivano e sparavano lava nel cielo non volli piu spaventarmi. Vedevo torce umane che correvano impazzite e me le tenevo per me. Non potevo più credere a quello che vedevo con gli occhi.
Anche mio padre vedeva qualcosa, glielo leggevo nello sguardo pietrificato ma non voleva crederci più. Pensai che ognuno ormai avesse le proprie allucinazioni e ciascuno se le teneva per conto suo, avendo paura di raccontarle. Ognuno era solo con la sua allucinazione. Pensavo alla bellezza e alla goffaggine di quegli attimi in cui eravamo tutti uniti.
Mi ritrovai vicino a mio padre sullo stesso balcone di prima. Fumava una sigaretta e guardava fuori, senza nemmeno voltarsi mi chiese : - cosa vedi? – . Era come se dal suo sguardo plumbeo volesse farmi capire che anche lui vedeva le stesse cose ma che dovevo far finta di niente, come tutti.
Io risposi : - Niente…non ha più importanza - .

Quella mattina mi svegliai in ritardo e sentivo soltanto che emanavo una forte puzza di whisky, e intorno polvere di una stanza trascurata, una lancinante emicrania, una fitta allo stomaco e tanta voglia di vomitare.

sabato 18 febbraio 2012

Notte in albergo

Alla notte che ci alberga dentro

...

a questa figura strana

che sono io
...
l'unico ubriaco

che va in giro di notte

per questa landa desolata
...

nei venti nella neve di

qualche Dio che non c'è.

Portano notizie di qualche nulla

passato

portano il nulla

nei miei errori della nullità

portano freddo


che non ha pietà.

mercoledì 1 febbraio 2012

Intorno alla mezza

Non c'è nemmeno un cane morto in giro però almeno qualche bar aperto dove deprimersi c'è sempre tra le pozzanghere, per poter rimuginare sul proprio destino da sfigato e ascoltare del buon jazz alla radio. Passano Round Midnight di Miles Davis.
Pensiamo a goderci questo piccolo whisky, questo piccolo angolino di bar, questi pochi spiccioli in tasca e questo tabacco. Pensiamo a goderci anche le briciole che oramai ci sono rimaste perché domani non avremo niente.
Perché’ l’unico motivo per non sentirsi tristi è che domani sarà peggio di oggi.
Feelin’ blue in inglese vuol dire qualcosa di intraducibile in italiano. Sarebbe come sentirsi blu ma il blu aveva una valenza particolare tra la gente di colore di New Orleans. Era essere in mezzo ai blue devils, ovvero quei pensieri, quei ricordi, quelle cose che vuoi scacciare in ogni modo ma non se ne vanno. Quando sei intorno ai trenta devi guardare indietro per forza per farti due conti in tasca e non è tanto facile per nessuno. Ecco perché questi posti sono frequentati tutti da trentenni depressi con dei cappellini ridicoli. Questo è il blues. Qualcosa che ce l’hai perché ce l’hai e non perché la vuoi.
Ho perso le cartine. Un locale dice di chiamarsi Boheme ma un whisky costa 5 euro. Un vero bohème non potrebbe permetterselo. Io sono bohème? No, solo nel senso che sono trasandato, triste e senza un centesimo. Quindi solo. Lo stile Bohème è per i giovani belli ricchi e fortunati. Tutte le cose belle sono per loro. Tutti i cazzi nel culo sono per me.
Ma non mi piace lamentarmi.
Me ne sto quieto.
Ho mangiato uno schifo di pizza di un fast food. Abolirei le pizze dalla faccia della terra. Servono solo a farti cacare. Preferisco di gran lunga bere.
Ma infondo cosa voglio di più dalla vita? Un altro Lucano.
Un tempo provavo a suonare Jazz. Poi è rimasta solo la puzza dei vestiti sporchi e delle sigarette spente.
Nessuno può capire come si sente qualcun altro.
Cos’altro mi servirebbe? La droga? Le donne ? Uno stipendio? No… A cosa diavolo servirebbe uno stipendio, se non a prendere il vizio di comprarsi macchine di lusso usate, andare a farsi le lampade, frequentare i fottuti ristorantini d’elitès, acquistare la tecnologia : il computer della Apple, il televisore gigante, il telefonino hi tech e i vestiti sempre nuovi perfetti, precisi, profumati; fino a che diventa una routine e inizi a sentirti povero da capo.
No, non ci casco io. Fate ciò che vi pare ma lasciatemi morire in questo angolino di bar su questa sedia putrefatta.
La verità è che sono semplicemente stanco. Non ne posso più di dovermi svegliare, di dover vedere sempre le medesime cose che detesto profondamente senza interruzione. Sono arrivato finanche a sognare la realtà. Ormai anche i miei sogni sono grigi come l’asfalto e cupi come una ciminiera.
Forse qualche tempo fa la vita era troppo bella. Non si poteva continuare a fare una vita così, così quelle sere sono sfumate via e con esse è sfumata via tutta la voglia. Non ci sono piu belle sorprese in arrivo, non ci sono piu quelle fantastiche illusioni.
Il mio vicino di casa dice che sente lo scricchiolio delle porte e del letto di notte. Bussa alla mia porta alle nove di mattina e mi trova in pieno coma.
Dice che non ne può piu di sentire come scopo. E io non scopo da parecchio tempo. Una sera mi ha anche portato i carabinieri. Ma è una vittima anche lui, ha una moglie che è uno scimpanzé basso e senza denti, due figli piccoli che piangono di continuo e un lavoro di merda dove lo trattano come uno straccio per lavare i gabinetti. Ha ben pensato di sfogarsi contro un giovane pimpante e rampante come me…
Nell’altro bar, quello sotto casa discutono di politica. Gigi lavora 16 ore al giorno per tenere aperto quel posto e far giocare gli scommettitori e servire da bere agli assetati. Dicano quel che vogliono anche in merito alla politica. Sono stanco pure di quella, non mi lascio andare a nessun tipo di furore ideologico. So che viviamo in un posto dove per legge si paga anche la tassa su Dio e poi nella realtà cruda e nuda nessuno ha mai pagato niente ma ha sempre sostenuto di pregare il Signore.
E’ tutto un commercio e hanno tutti paura delle guardie di finanza. Ma io sarei contento se i commercianti li arrestassero tutti in questo paese fallito. Crack finanziario! E Crack pure nelle tasche dei baldi giovani in contemporanea. Mandatemi i finanzieri a casa, sfonderebbero la porta, mi troverebbero a letto alle cinque del pomeriggio nella penombra eterna della mia stanza e al massimo potrebbero prendersi i miei vestiti, la mia panda blu scassata e la lampada. E poi si toglierebbero dai coglioni anche loro.

domenica 25 dicembre 2011

Palle di Natale



"untitled" di Jean Michel Basquiat


Questo fottuto albero di Natale mi guarda e lampeggiano le sue lucine su questo tetro arrivo della vigilia, nel bel mezzo del periodo delle convenzioni più marcate. Questi giorni pieni di lotterie ma senza fortuna, di centri commerciali e di gesucristi elettrici e babbi natali che si inculano, di tabacco rollato e fumato al freddo, giorni saturi di addii e di gente che ritorna. Rinchiuso in una stanza che puzza di stufa a gas, perso tra i bar in una solitudine, respirando l’aria fredda dell’inverno.

Ho un vassaio ricoperto di avanzi di cibo da asporto sul davanzale, una bottiglia di spumante mezza vuota e ammuffita, l’amplificatore attaccato a una spina bruciata e la chitarra sul letto insieme a me. Le lenzuola sono di nuovo grigie. Dovrò decidermi a lavarle un giorno. Esco di tanto in tanto per scendere al bar sotto casa dove un certo numero di persone con la pancia piena e sazia di cibarie paga e offre bicchieri di prosecco. Il sapore che ha quella roba è qualcosa tra l’acido e la muffa ma ubriaca in fretta e costa poco. Ne butto giù pure io quanti riesco a prenderne.

Nei supermercati trionfano scritte come “ENJOY!” e “PALLE DI RENNA FORMATO FAMIGLIA IN OFFERTA”. Ed happy new year, ovviamente.

Il sindaco, per incentivare il commercio, ha piazzato sopra le vetrine dei negozi e dei bar degli altoparlanti che diffondono incessantemente le musichette natalizie. All’inizio non ci faccio caso in mezzo al trambusto, poi più il jingle continua a girare più iniziano a girarmi i coglioni a tempo di sonagli di palle di renna. Infine basta essere poco attenti e distrarsi un attimo per urtare contro uno di quei pupazzetti barbuti che appena li sfiori iniziano a simulare la grassa e porca risata di Babbo Natale :”OH OH OH”.

Proprio stasera credo di averlo visto dal vivo. Stava entrando furtivamente dentro il locale. Si è guardato bene attorno per assicurarsi che nessuno lo stesse vedendo ed è sgattaiolato per la porta del retro dove si è messo a fumare sigari e a buttare monete in una slot machine. Il gestore del locale gli ha sistemato una branda nello stanzino in modo che Babbo può restare a dormire lì quando esagera col bere.

Dalla finestra della mia stanza si riflettono sul pavimento le lucine rosse, gialle e blu, e riesco anche a vedere il balcone della casa del nostro Babbo. Le ante sono sempre spalancate e grondanti buste di immondizia; in mezzo, come a fare da ornamento c’è una vecchia seda Ikea pieghevole spaccata. In giro dicono che ci abiti un pazzo. Solo io so che ci abita Lui. Dorme sul divano con un dito nel culo davanti all tv accesa su trasmissioni di sesso telefonico.

Quest’ anno sembra avere la barba ancora più sudicia e unta, capita sempre più spesso che vada a rubare del cibo, qualche prosciutto o roba del genere durante le feste e che divorandolo avidamente si imbratti del tutto. Il whisky nemmeno lo aiuta ma gli dà quell’aria sorniona e bontempona che in lui tutti i bambini amano. Ha messo su ancora qualche chilo e in casa sua deve avere il cesso otturato. Credo che ultimamente abbia bisogno di un medico ma non ha i soldi per pagarlo, spende tutto in gioco d’azzardo, whisky, sigari e qualche mignotta a buon prezzo. E’ facile che lo vedi tornare a casa talmente ubriaco da reggersi sulle spalle del travestito che gli fa da accompagnatore. Ma rimane sempre di buon umore, ed è solito canticchiare ai trans delle canzoncine natalizie che si sentono fino alla mia finestra :

“non rubo in giro: faccio affari questo racconto ai miei compari… mi vesto ina maniera bizzarra ma solo per il gusto di trovarmi sempre al posto giusto… Mi vendo il culo e non mi lagno pur di avere un bel guadagno… Vado in giro per le strade facendo il compagnone finchè ‘sto popolo riman coglione… Sono un pezzo di merda ma non lo dici perche vi faccio alla fin felici…”

Ah! Quello stronzo di Babbo Natale ! Dove c’è il brodo lì inzuppa la pagnotta !

Molti non sanno che ha anche l’anima del pezzente. Si sente derubato di continuo ma non lo dà a vedere. E’ davvero avido fino all’osso. Non gli frega un cazzo se alcuni bambini piangono e restano senza regalo.

Gesu Cristo ha fallito. Ha lasciato che il suo compleanno diventasse la festa di chi se la può permettere. Io e quelli come me restiamo nella merda e siamo delle merde, e dei peccatori . Chi vive nel merdaio se ne fotte di Dio. Chi vive in centro si mette il vestito e va in chiesa. Sicuramente quando scenderò giù al bar dopo la mezzanotte troverò un branco di tossici che si faranno gli auguri e comprerò a debito la mia dose. Così si festeggia il compleanno del bambinello da queste parti.

Per il resto sarà tutto normale :anche quest’anno il buon papà della villetta vicino al centro sarà costretto ad andare nei negozi per comprare il regalino al suo bel bambino dai capelli dorati. Il bambino del mio quartiere invece avrà un destino leggermente diverso . Il suo vecchio uscirà di casa, sparerà un colpo di pistola in aria e rientrando gli dirà: spiacente ma Babbo Natale si è suicidato.

mercoledì 21 dicembre 2011

Polifemo


POLIFEMO



Brutte zoccole le donne: lo sanno che vuoi scopartele e ti girano intorno apposta per non dartela e divertirsi aumentando la propria autostima.
Allora il consiglio del Vecchio è che se vuoi avere un buon rapporto con le donne devi assolutamente far precipitare la loro autostima. Devi fare sempre il contrario di quello che si dovrebbe fare. Non fargli capire in nessun modo che sono importanti per qualunque cosa. Se sei onesto e dichiari apertamente che il tuo arnese ha bisogno del loro buco fica passi per uno sfigato o un fallito. Molte volte devi scrivere interi romanzi per ricreare tutta una situazione idilliaca libresca o hollywoodiana per convincerle che tu sia l’uomo giusto.
Ti ronzano intorno come falene, di notte, mezze ubriache, e tornano nelle loro case a spararsi i ditalini. Si appoggiano ora su un fallo ora su un altro ma rimangono delle maledette falene, che volteggiano cieche e impazzite, febbricitanti, senza rotta. Brancolano nel buio. Quando trovano il fallo giusto dove appoggiarsi lo contagiono con la loro febbre e lo costringono ad assimilare il loro colore. Finchè anche un insetto riesce ad avere la meglio su un bue.
E le stronzate diventano l’unica cosa importante.
Quello che conta realmente è trovare un buco, che sia fatto a forma di falena o di criceto non importa. Questo è il senso ultimo della vita. E’ questo che fa andare avanti il mondo che infatti sta marcendo, che infatti sta andando a puttane.
Le cose più mirabili si fanno per entrare in un buco.
Se su Marte ci fosse una gran fica a cosce aperte che gli uomini ci sarebbero gia arrivati e ci avrebbero portato anche la cocaina per fare dei rave.
Ciò che sorprende è che in genere l’uomo, dopo aver posseduto la donna, si rende conto di non averne più bisogno. Non appena muore lo scopata prova una sensazione di rifiuto verso quel corpo estraneo che gli giace ancora affianco, inerte, sul letto a gambe aperte. Glì serve il tabacco per far sfumare quella sensazione di vuoto e ipotizzare una continuazione dell’amplesso. Il sesso è un tappabuchi.
Quando dopo un certo numero di scopate, più o meno fisso a seconda dei casi, si instaura una relazione riconosciuta dalla società civile accade la stessa cosa. Una volta ottenuto il rapporto stabile e basato sulla fedeltà che prima ci faceva andare in ansia, riacquistiamo la vista scopriamo che è tutta una grande fregatura e che non ne avevamo bisogno. Anche lì bisogna correre ai ripari ma non basta il tabacco. In quel caso le scelte sono due: puoi farti un’amante o due o inventarti un vizio come l’alcool, il calcio, il gioco d’azzardo.
Nel caso sempre più frequente in cui si resta senza una donna, si è considerati degli esseri inutili, delle mezze seghe inette e disadattate. In parole povere la società ti dice: “Non è colpa tua ma devi morire perche sei una merda”.
Valgono solo quelli accoppiati, quelli non accoppiati erano fuori dall’arca di Noè!
Il nostro caro Franco era un amante di mignotte. Per tutta la vita non aveva preferito altro che andare con loro. Anime facili. Ogni notte una diversa, ogni tanto capitava la stessa. Ma i rapporti erano sempre fumosi ed evanescenti, sempre ridotti al sesso, alla chiavata, alla sbronza e poi si chiudevano le porte.
Il nostro Franco credeva di aver trovato così la stabilità, la serenità. Ma le donne non puoi prenderle esattamente cosi come se fossero usa e getta. Sono delle lamette difettose, prima o poi ti tagliano e ti fanno male. E possono succedere tutti i tipi di casini possibili.
Una mattina il nostro Franco tornando a casa dal nuovo centro scommesse trovò una lettera sul tavolo. Una bella ingiunzione di pagamento. Era stato condannato da un tribunale a versare mensilmente un’ingente somma di denaro in contanti a una donna, una delle sue signore, rimasta incinta.
La prima cosa che pensò fu di scappare in Brasile ma prima ancora si ricordò di essere sul lastrico. Poi si sistemò sul letto e sdraiato, si aprì una birra e iniziò a pensare.
Forse la birra gli fece male perché ebbe la fantastica idea di chiamare il suo avvocato che gli spillò fino all’ultimo centesimo per poi fargli perdere la causa. Il buon vecchio Franco dovette sganciare tutti i soldi mensilmente a quella donna in carriera con un bimbo. Il nostro puttaniere alla fine era di animo buono e iniziò anche ad avere sensi di colpa per essere un pessimo padre, praticamente inesistente.
Ritrovò Gloria (così si chiamava la professionista) qualche anno dopo per caso che usciva da un ristorante mano nella mano con un tipo alto e moro, tipo ballerino di flamenco, e con un bambino a fianco. Per un attimo provò anche una forte emozione credendo di aver visto per la prima volta sua figlio. Ma aveva fatto finta di non aver notato una fortissima somiglianza tra la faccia del bimbo e quella dell’uomo che era con lui.
Soltanto dopo scoprì di non aver mai procreato. Non era un cuor di leone e la sua rabbia e il suo disprezzo lo portarono ad andarsi ad ubriacare in tutte le bettole della zona. Prima di trovare un bar aperto pensava sempre di impiccarsi con la cinghia.
Poi tornò indietro sui suoi passi.
Scoprì dove abitava la coppietta e si mise ad aspettare quell’uomo con una spranga di ferro in mano a lato della porta d’ingresso della casetta al piano terra. Ci rimase piu o meno sei ore, finchè si fece mattina. Il nostro stallone uscì di casa in mutande sbadigliando e grattandosi il cazzo per vedere la posta e Franco gli fracasso la testa con quattro, cinque, sei colpi secchi sulla tempia.
Qualche anno dopo dissero che si era impiccato in prigione legato alla sua t-shirt attaccata a una grata bassa. A nessuno venne mai la voglia mai fare ulteriori indagini. Tantomeno al sottoscritto.
Sono così gli esseri umani, sono strani. Un attimo ci sono e l’attimo dopo non ci sono più.
Consigli per vivere ce ne sono tanti ma nessuno mi ha mai convinto. Dio, lo sport, i soldi, l’amore, il sesso contino, la droga, l’idiozia, la libertà.
Quando penso a un esempio da seguire penso solo a Polifemo. Il gigante ciclope.
Polifemo se ne stava all’interno della sua mastodontica caverna da solo. Nessun rapporto con nessuno, si rinchiudeva lì dentro appostando un enorme masso all’entrata e di tanto in tanto usciva e si guardava attorno con il suo unico occhio. Certo, soffriva un po’ di solitudine forse ma non aveva troppe idee che gli saltavano in testa. Quello che faceva era mangiare, espletare i bisogni defecativi e dormire. Stava bene tutto sommato. Molto meglio degli uomini che si affannavano e si azzannavano giù nelle valli nelle città come in assurdi formicai. Ogni tanto li osservava sospettoso quando li vedeva avvicinarsi nei paraggi con la coda del suo unico grande occhio.
Ma un giorno ci ebbe a che fare. Decise di mangiarseli. Quegli strani tesserini già gli avevano suscitato delle strane sensazioni di ira, rabbia , invidia e cupidigia. Era caduto già in trappola. Erano dei piccoli virus ma lui non lo sapeva. Pensava di essere piu furbo. Fino a quel momento era stato solo saggio ma ignorava che avere a che fare con gli uomini voleva dire prendere parte a quel mondo di scelleratezze e di tentazioni e rimanerne inevitabilmente coinvolto.
Venne accecato da uno di loro a tradimento. Con un palo infuocato. Era stato Nessuno.
Il grande Polifemo, che era un buono, fu incattivito, tradito, accecato e lasciato morire da un piccolissimo uomo insignificante. Una nullità esempio di vigliaccheria. Aveva commesso il primo e ultimo errore della sua vita : avere a che fare con gli esseri umani troppo da vicino.
Lo lasciarono così in preda al panico ad urlare il nome del suo feritore e a vagare cieco nella disperazione e nell’ira del suo inferno che qualcuno avrebbe dovuto prestargli soccorso.
Ma quella caverna ormai era un mondo dove c’era soltanto lui.
Non si seppe più niente al riguardo di questa vicenda, cosa successe al gigante e se riuscì ad uscire da quel buco. Ma io sono pessimsta al riguardo, spero soltanto che in quelle condizioni almeno non sia sopravvissuto a lungo.












domenica 27 novembre 2011

Il giorno dopo


Stamattina ho vomitato la bile. E’ un liquido di colore giallo-verde che esce dal fegato quando non ne può più di smaltire alcool. Fino a poco fa pensavo che stavo per morire e avevo paura. Ma ora sto peggio perché mi sono reso conto che non morirò così facilmente. Sono steso su un letto scomodo di una stanza polverosa. Sento un trapano perforarmi il cervello.

Non sono i muratori che lavorano qui fuori dalle sei di mattina in poi, è proprio il mio cervello. Tutto ciò che vorrei è puntarmi, in quel preciso punto del cranio, una pistola e fare clic.

Ripenso a come mai ogni notte devo aspettare l’alba bevendo e discutendo coi miei simili per strade opache e tristi, entrando in quei bar appena aperti per le colazioni di gente che va a lavorare. Li vedi li col cappuccino e un cornetto glassato ficcato in bocca. E ridi.

Ieri notte mi trascinavo come una lumaca sull’asfalto spingendo un carrello pieno di bottiglie e lattine di birra. A un certo punto ho preferito restare solo, alcuni miei amici a un certo punto diventano troppo sensibili, non reggono i miei discorsi forse e scoppiano a piangere. O forse scoppiano in lacrime per qualche altro motivo.

Ripenso anche a come ho fatto ad entrare in quella specie comunità di tossici.

Basta poco : io ero in via Verzieri a zonzo e facendomi i cazzi miei una volta tanto, ma l’occasione ti viene a prendere anche lì. Passa a prenderti ti porta con sé. Come dei flash rivedo le ore passate a Scampia. Rivedo noi ubriachi in macchina a cercare crack, a marciare per le vie del marciume. Rivedo la scritta all’ingresso : “se non trovi la bellezza, cercala dentro di te”.

Ho paura che dentro di me ci siano solo insetti e topi morti.

Come ho fatto ad entrare in quel buco fetido?

C’era una puttana per strada intenta ad aiutarci a trovare il crack. L’avevamo fatta saltare in macchina e ci portò subito sotto un palazzo enorme. Era la nostra guida spirituale, il nostro Virgilio. Sembrava davvero una di quelle puttane ottimiste e di sinistra. Non so come eravamo annebbiati e la puttana ci conduceva attraverso un drappo scuro sudicio appeso a un muro. Cumuli di rifiuti coprivano tutto, lacci emostatici, merde di cane, puzza di aids. E dalla fessura buia di uno di quei muri di cemento usciva un grassone, come fosse stato il protettore della mignotta, intento a fumare con noi senza aspettare inviti.

E’ strano poi in che modi strani si cerca di riparare ai danni cerebrali fatti.

Per calmarci la puttana ci consigliava di acquistare dell’ottimo Cobret tornando alla base. Ovviamente noi eravamo ragazzi coscienziosi e non potevamo fare altrimenti che accettare l’offerta.

Poi ricordo che il mio amico si era messo a piangere per aver perso una bottiglia di gin.

Una delle prime cose che ho fatto stamattina è stata frugarmi addosso per vedere cos’avevo ancora e l’unica cosa che ho trovato è stata il mio portafogli, pieno di scontrini, e completamente privo di carte di qualsivoglia valore.

Mentre scrivo vado velocemente al cesso a vomitare un po’ di schiuma.

Inciampo in un materasso e sbatto col piede contro la testa di Tony.

Stasera dobbiamo suonare in un locale e io sto male. Pure lui pare mezzo morto. Ma in qualche modo dobbiamo pur campare, mi ritorna in mente il fatto che la mia stanza buia e polverosa è in affitto e non so quando dovrò pagare la mensilità ma a breve.

Mi rimetto a letto, chiudo totalmente la tapparella, gli operai fuori continuano a fare un rumore infernale ma è quasi notte, devono essere le cinque del pomeriggio.

Sono uscito soltanto per comprare il tabacco e per mangiare qualcosa. Mi sono trascinato fino a una specie di panificio ed ho chiesto un panino caldo. Il ragazzo del negozio mi ha guardato in faccia spaventato ed ha consultato il proprietario. Subito dopo è tornato con due panini belli fragranti infilati in una busta di carta e non ha voluto essere pagato. Da non so cosa aveva capito che non avevo soldi e che stavo morendo.

Ottima cosa. Per avere un po’ di bontà dalla gente devi aspettare di crepare.

Ho divorato letteralmente i panini e ho bevuto a una fontana dove poco prima si era dissetato un cane. Mi sono sentito felice e appagato per quel poco come se in quel momento tutto il mondo stesse mostrando il suo lato buono.

Ero una merdina. Deambulavo come una foglia secca con un’espressione stranamente leggera e sofferente. Un folle.

Mi adagiavo come un escremento di cane sui marciapiedi.

Mi sostenevo sui cestini dell’immondizia lungo il prestigioso corso Vittorio Emanuele di fronte alla libreria Feltrinelli. Ogni mamma che passava raccomandava al suo bimbo di non diventare da grande come me. – Guarda Luca c’è l’uomo nero .- . – Mattia non ti avvicinare troppo al signore -.. – Francesco non indicare… - .

Sono tornato a casa completamente esausto e ora non ho altro che il trapano nel cranio e il letto polveroso. E solo qualche ora di tempo per stare un po’ in coma prima di andare a suonare in quel locale.

Ho una situazione instabile e in sospeso con una donna, spero non mi chiami ora. E infatti mi chiama, c’è il cellulare che squilla e si aggiunge al trapano nel cranio e ai martelli degli operai Non so cosa riesco a dirle.

Tutto questo malessere è anche colpa delle scopate che faccio.

Tre sere fa Martina mi ha chiamato, mi ha chiesto di fare un salto da lei.

Abbiamo scoperto di essere talmente di poche parole che per occupare il tempo abbiamo dovuto scopare subito, senza troppi convenevoli prima.

A letto d’un tratto mi ha preso per i capelli e mi ha portato con la faccia dentro la sua fica urlando –Lecca! Lecca ! -. Era un po’ irruenta ma la lasciavo fare. Con un salto mi è salita sul cazzo e mi ha sbattuto quelle grosse tette in faccia quasi a soffocarmi. Era un combattimento anche quello.

Ma ogni donna a un certo punto deve essere sottomessa così l’ho presa e l’ho messa a quattro zampe iniziando a stantuffare con colpi secchi e decisi nel suo deretano. Godeva come una troia mi pareva, ma il fatto è che le venni dentro. Ero un pezzo di merda. Si infilò nel cesso e tornò innervosità poco dopo dicendo di aver già avuto un aborto di recente.

Fumava nervosamente la sua sigaretta in accappatoio. Io ero ancora sul letto con l’uccello di fuori e attingevo ampie sorsate dalla bottiglia di vino sul comodino. La osservavo. Mi guardava incazzata.

Erano queste le mie scopate, le mie situazioni, le mie cose.

Duravano sempre poco e ogni piacere corrispondeva sempre e comunque a una inculatura imminente. Infondo non era male. Il giorno dopo c’era sempre qualcosa di peggiore.