sabato 27 febbraio 2010

Incontrami al bar destino

Incontrami al bar destino,
vieni con una pistola,
nascondila nei jeans,
in modo che non possa vederti nessuno.

Poi fermati di fronte a me e spara,
un colpo, anzi due.
E vedremo se dopo sarò ancora vivo.
E vedremo come reagirò...

Vedremo se mi esploderà il cervello,
schizzando contro la parete.

Ora intanto vedo questo whiskey,
appoggiato al bancone,
e tanti esseri ignobili che girano intorno a me,
carico la mia pistola,
6 colpi in canna non dovrebbero bastare.

Mi assicuro che io senta almeno la polvere da sparo
e il sangue,
spiaccicarsi sulla mia faccia.

La danza delle scimmie

...dall'inquietudine del vivere il realismo quotidianamente...


Mi dà rabbia che in questo paese di merda (per chi ha ancora la forza di dirlo), Nusco, ci sia la media di coglioni più alta d'Italia.Gente dotata di una totale incapacità in tutto, con un'intelligenza di gran lunga inferiore ai 70, analfabeti, idioti, ridicoli fino ad arrivare al surreale. Raccomandati dal boss della zona, De Mita, lavorano tutti e prendono 2000 euro al mese, per fare danni alla regione, alla provincia, nelle scuole, negli ospedali, nei servizi pubblici. Parlano con l'aria di uomini che hanno avuto successo, perchè hanno potuto permettersi un abbigliamento degno di qualche imprenditore truffatore milanese. Non hanno nemmeno il pudore di andare a nascondersi, anzi scorazzano con le loro macchine costose con buffoneria.I nuscani, gli abitanti del non-luogo chiamato Nusco, sono anche i più grandi voltafaccia e traditori della zona. Chiunque, qualsiasi cosa dica, è pronto a vendersi la madre per un "posto" in ufficio.Mi dà anche rabbia che in questo sistema vanno avanti i peggiori, quelli che meriterebbero di essere impiccati per i coglioni in piazza. Quelli che sono figli di grandissimi SERVI, SCHIAVI, PEZZI DI MERDA.Mi dà rabbia che da un lato c'è questa classe di analfabeti e dall'altra una classe di "intellettuali"(che parolone!) piccolo borghesi che li appoggia e da cui sono largamente sostenuti, che diffonde ignoranza, menzogne e illusioni. A molti di loro brucia il culo non aver mai avuto favori dal boss.Cari amici della comunità provvisoria, mi sembrate degli zombi cattolici. Lo sapete benissimo che qui non ci vuole un risollevamente, ma una bomba atomica per distruggere tutto e ripartire da 0. Caro Arminio, scrittore che leggo volentieri, un tempo sicuramente andavi anche tu dal grande boss De Mita, ora ti auguro di diventare famoso così lasci la tua fottutissima, inesistente e fuori dal mondo irpinia d'oriente.Mi dà rabbia essere nato proprio qui, in questo lurido posto di merda.Mi dà rabbia che ancora non mi hanno ucciso, vuol dire che non ho affondato bene la lama.Gli dà rabbia che sono ancora vivo.Sono vivo perchè non ho una buona reputazione da difendere, mi rendo conto di essere fottuto a vita e questa è la mia forza. Aspetto solo che qualcuno mi spari in fronte.Auspico una guerriglia al più presto, ma non so se è più una speranza o un futuro inevitabile.Non mi considero "di Nusco", non considero i forti campanilismi tra i paesi, ma mi ritengo altirpino; e comunque è solo una provenienza, un'origine, non sarà mai la mia dimora fissa.Vivo in una condizione di profonda inquietudine, marginalità e disagio continuo, accerchiato da bastardi nati, coi soldi e senza scrupoli.Voglio morire perchè non ci sono motivi per stare in questa situazione.Non voglio vivere semplicemente per non darla vinta agli stronzi, come fa la maggiorparte della gente.Voglio allontanarmi da tutto, perchè niente più mi interessa: nè i soldi, nè le puttane, nè la droga, nè l'amore, nè Dio.Sono nomade e senza Dio. Sono perso senza speranza, ed ho una collezione di ombrelli rotti nel bagagliaio.Chi scrive, chi ha un'anima e un buon cervello prima o poi se lo prende nel culo. Sempre.Qui si è salvato solo chi se n'è andato.Ogni mattina mi capita di svegliarmi con la sensazione che mi stia entrando qualcosa nel culo e capita anche quelle mattine, in cui mi sveglio sputando peli di fica. Il buco nero che tutto inghiotte; immondizia, ladri e tutte le disgustose facce che mi capita di vedere. Esiste da qualche parte un pozzo senza fondo pronto ad accogliere la feccia.Gli artisti, dal canto loro, non hanno futuro e il futuro nemmeno avrà artisti.Facciamo spazio alle discariche, alle centrali nucleari e alle scorie davanti alle case dei pezzenti e dei morti di fame e rinchiudiamoci nelle nostre ville milionarie coi pannelli solari, comprate dai soldi di posti di lavoro rubati dallo stato. Spegnamo anche l'ultimo barlume di dignità.Andiamo a puttane, anzi andiamo a votare per le puttane, e facciamogli guadagnare soldi e posti di potere, perchè noi abbiamo il culo su un bel divano e abbiamo macchine, televisori e vestiti senza aver mai fatto niente per meritarceli. Facciamo la danza delle scimmie. Andiamo in disco e trucchiamoci come dei coglioni.Poi facciamo un rave dove ci faremo di pasticche e di cocaina, e facciamoci togliere la patente al posto di blocco. Solo qualche stronzo che non esce si farà di eroina chiuso nella sua stanzetta a morire.

lunedì 22 febbraio 2010

Un'iniezione di vita

Un vecchio racconto riesumato.

Un’iniezione di vita.
23 giugno 2008.

Mio nonno faceva lo scarparo e aveva fatto la seconda guerra mondiale. Diceva che l’amore è qualcosa che puoi capire solo da vecchio, e se sei abbastanza profondo, perché da giovane sei troppo arrapato, senza scrupoli e pensi solo a scopare.
Aveva ragione, io penso solo alla fica dalla mattina alla sera.
A volte però ci sono dei periodi che non si riesce a scopare perché le donne fanno le difficili, perché ti ritrovi seduto al bar con “birra calda e donna fredda” ; altre volte si scopa alla grande ma dura poco e và a finire sempre male. In ogni modo.
A volte poi succede che mentre scopi arriva uno stronzo di pastore e chiama i carabinieri, perché proibisce assolutamente che si scopi sul suo terreno.
Bene, una sera richiamai Veronica, dopo un mucchio di tempo, mi raccontò che si era da poco lasciata con un tipo dopo 4 mesi di grandi scopate. Le chiesi se le andava di vederci e lei mi rispose che le andava bene. Veronica era di Calitri. Così allora mi misi in macchina e andai a prenderla sotto casa sua ( l’indirizzzo me lo ricordavo benissimo). Entrò in macchina che teneva addosso un vestito rosso aderente che le metteva bene in mostra le natiche e le scopriva le cosce, era anche meglio di come me la ricordavo, una grande fica! Ci demmo dei bacetti e a me già si fece duro l’uccello, le guardai le tette dalla sua scollatura. Ci mettemmo a chiacchierare mentre intanto giravamo per il paese in macchina, poi mi disse di andare per una stradina di campagna, ci fermammo sotto una grande quercia, e mi disse : – non ci vedevamo da tanto tempo, sono così felice che mi hai chiamato- e mi diede un bacio, mi mise la mano sul cazzo: finalmente. Io le misi un dito nella fica, poi glielo feci entrare lentamente anche nel buco del culo. Lei si fermò e fece :-Ahi!-, io dissi – scusami- e continuai a girare e rigirare come un cacciavite il dito nel buco.
D’un tratto le dissi -Dai, fammi una pompa-
-Va bene- mi rispose sorridendo.
Iniziò a lavorare di gran classe sulla cappella, evidentemente in tutto il tempo che era passato aveva lavorato sodo, era migliorata, adesso era quasi eccellente. Intanto ci spogliammo, abbassammo i sedili della macchina e la presi con forza, la misi a pecora e iniziai a stantuffare con dei potenti colpi nel culo, sentendola gemere, dentro e fuori , dentro e fuori, godeva come una troia. Proprio mentre stavo per liberare tutto il mio sperma dentro al suo bellissimo culo sentii un fottuto cane bastardo abbaiare e il padrone guardare dentro la mia macchina la nostra scopata.
-Oh cazzo Luì, chi è quello!?!?-
-Facciamolo guardare, dai!-
-No, sei impazzito!!!- così dicendo se lo fece uscire dalle natiche in un attimo con mio grande dolore.
-Porca troia!-
E in effetti aveva ragione lei, il tipo stava dietro la macchina per prendere il numero di targa, e all’improvviso gridò: -”Ntunè! Chiama li carabinieri!”
Pensai : – Porco Dio! Qua mi fottunu indu!-
Misi in moto, piede sull’accelleratore e corsi via, nudo, solo coi calzini;
-A destra!-
-No! A sinistra!
- Ma dove cazzo stiamo andando da qua???-
- E stai zitta Verò!- (mentre mi infilavo il jeans alla meglio).
In effetti stavamo in mezzo a strade interpoderali sperdute, eravamo già fortunati che il contadino non ci avesse sparato in fronte e buttato i nostri cadaveri in un vallone.
- Cazzo! Cazzo! Ci stanno dietro!-
- Verò porco Dio, statti cittu!-
Mi infilai in una strada che mi sembrava la più improbabile da percorrere a tutto gas e poi ci ritrovammo all’improvviso sulla statale sbucando fuori da un campo di grano. In fuga, a fanculo tutti. Mi accesi una sigaretta.
- Verò, trovami le mutande e i vestiti!-
Lentamente me li infilai, continuando a guidare. D’un tratto poi ci guardammo in faccia e ci mettemmo a ridere, e iniziamo ad ascoltare musica e a cantare – …and I’m runnin’, police on my back… – . Arrivammo così in pochi istanti quasi ad Avellino. Mi fermai prima un attimo a prendere quattro birre, per berle per strada, cantando – I can go with the flow, I can say it doesn’t matter anymore!-. Serata calda in quella cittadina, con la solita foschia appiccicosa di immondizia bruciata mischiata a umidità, nebbia e smog. Arrivammo nel parcheggio dello stadio, sempre poco illuminato e fermai la macchina. c’era un angolo abbandonato con varie carcasse di metallo depositate al suo interno, intorno notammo altre macchine ferma con i finestrini appannati, altri due che stavano scopando.
-Bhe, direi che qui va bene-
-Già- dissi io
-Chissà quante te ne sei portate qui – mi chiese Veronica
-Un numero non maggiore a quelli che ti sei portata tu –
Quando scopo sono di poche parole. Le presi la mano e me la misi sul cazzo, lei notò subito che era durissimo, si spogliò, abbassammo i sedili, e cominciai a slinguazzarla.
-LECCAMI LA FICA, LECCAMI LA FICA! VOGLIO GODERE!-
-Aspè…-
-DAI DAI LECCAMELA!-
-Ok-
Non ero bravo a leccare la fica un tempo, poi una ragazza di nome Ilaria mi insegnò come farlo al meglio, come toccare i punti nevralgici! Mi aveva allenato per ore ed ore fino a farmi venire il torcicollo. Quindi mi misi all’opera, iniziai a lavorare e lei infatti iniziò a emanare gemiti :-mmmmmmm- aaaaaaaaa- uuuuuuuuuu.- Dio! Dio!-. Sono soddisfatto quando lavoro bene. – Adesso però devi permettermi di fotterti- le dissi a un tratto, le salii su e cominciai con lo stantuffo, sempre più veloce, come una locomotiva a vapore! Le davo dei potenti schiaffi sul culo e lei gemeva sempre più forte. Intanto mi diceva ripetutamente di non venirle dentro.
Imperterrito, infaticabile continuo a sfondargli la fica. Veronica aveva una gran fica, era bella stretta che quando entravi sentivi che la stavi sfondando.
La mia velocità aumentava, iniziavo ad avere il fiatone, cadevano gocce di sudore su di lei. Nonostante la mia concentrazione su di lei, sentii una musica da discoteca ad alto volume provenire da qualche parte. Girai lo sguardo e vidi una smart cabriolet e una punta che sfrecciavano avanti e indietro per il parcheggio con una decina di ragazzi e ragazze deficienti affacciati fuori dai finestrini. Urlavano, ridevano, ci rompevano i coglioni. Erano là per disturbare tutte le coppiette che stavano scopando in macchina. Lampeggiavano con i fari, suonavano anche il clacson, passarono davanti la mia macchina due o tre volte. I classici deficienti che vanno da una discoteca all’altra. Stantuffavo e bestemmiavo. Mi avevano rotto i coglioni.
Dovevo quasi venire ma ero troppo nervoso per farlo. I deficienti continuavano a sfrecciare per il parcheggio, fino a che sentii un tonfo. I deficienti nelle due macchine avevano avuto uno scontro tra di loro e un paio di loro erano volati dal finestrino. Forse si erano spaccati la testa.
Scoppiai in una risata di gioia, iniziai a sentire che ora potevo venire, allora diedi dei colpi micidiali finali, lei urlò -uuuuu- e io esplosi con una grande sborrata dentro la sua fica cacciando una risata malefica – waaaaaaaaaaaaaaaaaa-,
Un grido antico, un grido primitivo dell’esemplare maschile che in semina la femmina soggiogata e sottomessa. Io sono la vita che continua. Io sono il maschio fecondatore. Io rispetto il volere di Dio: andate e moltiplicatevi- E intanto sborravo anche su tutta la merda di mondo che avevo attorno e mi infastidiva sempre e di continuo dalla mattina alla sera. Anche una scopata era piena d’intoppi.
-BRUTTO FIGLIO DI PUTTANA!- mi gridò Veronica
-Che c’è?-
-Mi sei venuto dentro! Ti avevo detto di non farlo stronzo!-
-Scusami Veronica ma è stata un’iniezione di vita, sono esploso.-
-Scusa un cazzo! Se resto incinta te la faccio pagare – e mi molla uno schiaffo.
Riuscii ad aggiungere solo – Ti amo! -
La mia missione era compiuta, la serata per me era terminata, infondo ce l’avevo fatta. La riaccompagnai a casa sua bevendo una birra e fumando sigarette. Lei continuava a parlare ma io ascoltavo solo la musica che veniva dallo stereo. Arrivammo che era quasi l’alba, prima di scendere mi disse solo – Stronzo!- e andandosene mi sbandierava il suo gran culo in faccia.

Io odio i poeti

Io non sono un poeta. Io odio i poeti; perché le parole sono cazzate e le cazzate sono parole.
Non mi interessano i giovani rampanti del cazzo,
E non mi interessano i vecchi decrepiti che cercano un elegio per la vita di merda che hanno vissuto.
Riconoscete di essere dei poveri stronzi,
e nemmeno mi verrà voglia di leggere le vostre infinite cazzate che definite poesie.
Quanta carta avete sprecato, quanto inchiostro, mentre fate gli ecologisti?
Tutto ciò che scrivete non serve a un cazzo, tranne che a gonfiarvi come dei palloni, miserabili.
Quelle carte non sono buone nemmeno per pulirsi il culo,
se me le regalate, io forse le userò per accendere il camino.

Suicidio

Ho imparato a mettere in discussione ogni singola parola che si usa. E’ una questione di terminologia. Non ci si può suicidare. E' una parola finta "suicidio". Il vero suicidio è nascere. Impiccarsi è solo accorciare la distanza tra te e la morte.
Il guaio è che purtroppo ad ogni parola viene dato un “senso comune”, che in realtà non esiste o è sbagliato a prescindere. Ogni singola parola dell’essere pensante e vivente è intrisa di soggettività. Quelli che usano le parole in senso comune sono uomini morti che camminano.
Quando si pensa al tempo si pensa all’orologio. Ma l’orologio è il miglior nemico del tempo.
Ognuno di noi ha una percezione naturale e diversa del tempo che si distacca nettamente dalla misurazione meccanica, e anzi, sempre và in conflitto.
Io conto le albe. Per me le giornate non passano mai o passano in fretta o talvolta non le avverto affatto.
Io sono con chi vuole dare il giusto significato alle parole. Il tempo quindi non è il tempo. E il suicidio non è il suicidio. E di conseguenza IO non sono IO. In questo momento potrei essere dell’inchiostro su carta o delle luci sul monitor di un pc, e cioè generare un’idea distorta dell’ Io nelle saccenti scarse menti piene di stereotipi e di clichè. Per quanto mi riguarda sapete dove potete ficcarveli i vostri clichè del cazzo.

Lucido delirio di un morto

Molte persone muoiono a un certo punto della loro vita, specialmente nell'adolescenza, in quella che definirei meglio la malattia, nel senso che l’adolescenza non è un periodo dove puoi diventare malato, ma è essa stessa una malattia.
Io sono morto più o meno a 14 anni, credo. Alcuni però muoiono e non lo sanno e credono di esistere. Io lo so che non esisto.
Stasera mi sono quasi sentito vivo, e ho iniziato a provare emozioni sincere, non artefatte, create e imposte, ma vere, come quando ti si rompe la bicicletta a 6 anni; finchè è durato è stato bello. Ho dovuto morire a 14 anni, non è mica un trauma, ragazzi. Cosa credete?
Ma VOI, a che età siete morti?
L’età in cui ti scolleghi dal mondo perché non ti piace, e non puoi più tornare indietro. Questa frattura l’avrete avuta in molti, un po’ come rompersi il ginocchio cadendo dalla bici. E’ anche vero che c’è chi muore tardi, è lo stesso.
Purtroppo c’è chi si decide a morire solo quando arriva la morte fisica, non avendo vissuto.
Il delirio moderno ci porta a credere che siamo immortali.
Tra morti, sapete, ci si intende, ci si capisce al volo, si avverte la presenza di un morto tra morti, e non si sbaglia quasi mai. Non c’è peggior cosa di un morto che crede di poter vivere ancora, una volta morti non si torna più indietro! E’ andata. Bye bye.
Vogliono finanche resuscitarti, alcuni, vogliono provarci, che fessi!
Alcuni pensano di emulare un animale, come un aquila o un cavallo da corsa; io che non emulo, in questo zoo potrei essere un cane morto.
Ma vorrei davvero conoscere tante storie, di ragazzi e ragazze come me, ce ne sono milioni, ad esempio che lavorano in un call center, o stanno lobotomizzati in una casa studenti, nei banchi di scuola di un abominevole liceo o ammuffiscono nel loro merdoso paesino abbandonato.
E’ incredibile quanto si convincono di esistere certi personaggi, arrivano a tal punto da classificare la gente su criteri inesistenti. Chi odia i neri, chi odia i comunisti, chi odia l’altro credendolo diverso da sé.
In conclusione, se ci si stanca anche di scopare, figuratevi se non ci si stanca anche di esistere, di fare parte del grande progetto della vita stronza programmata e approvata col timbro e col voto.
Ragazzi, questo è un monito per essere allegri e nello stesso tempo combattere contro gli stronzi, col sorriso, se avete capito cosa intendo dire, perciò: allegria ragazzi!!!!!!!!!!

Non riuscire ad alzarsi dal letto

"Quando non so come andare avanti con il film, metto un sogno", Luis Bunuel.


-Mi sento triste, e a volte, mi manca addirittura la sensazione di sentirmi triste-
-Cosa ti succede??-
-Niente, mi sento fottuto…-
-Non posso cambiare nulla, tutto và per il suo verso, è tutto inutile. -
Un mio amico una volta mi disse, giocando a carte, che quando si sta così si può giocare con un solo palo, con le spade. Ma perché dovrei combattere?
Sai qual'è il fatto che mi rendo contro che da ora in poi non imparerò più niente. Ora è tardi. Ormai posso solo vedere cosa ho seminato.

Siamo sul ring, attorno alla platea…al settimo round vado al tappeto. K.O. Fischi dalla tribuna, acclamano il vincitore, e la linea a chi di dovere per i commenti sul match.
Negli spogliatoi si è zittito il coro, non c’è più nessuno. Non è rimasto nessuno. Ho sferrato tutti i cazzotti che avevo a disposizione fino a che non mi sono mancate le forze.
E’ da qui che inizia la lotta. La lotta contro me stesso. Contro la mia solitudine. Contro il mio passato, dolce e amaro e sempre rimpianto.
Dover andare avanti sempre e comunque, tenendo alzata la guardia, schivando gli altri colpi, ancora, perché la guerra non finisce mai. Nonostante tutto. Nonostante non bisognerebbe sopravvivere a certi incontri.

Quando sei da solo in uno spogliatoio e tutti fanno il tifo per il tuo avversario vincitore, non pensi più a niente che a te e a fare male a qualcun altro. Ecco, che qui ritorna Jake La Motta, il più grande pugile di sempre. Jake raccontava : "eravamo talmente poveri che mio padre a Natale usciva fuori, sparava due colpi di pistola e ci diceva che Babbo Natale si era suicidato".
Ecco dov’è che si vedono i tuoi cromosomi, dove si vede chi sei. Perché assolutamente non c’è più un cazzo da vedere, al di fuori della merda. Niente può esserti utile al di fuori di stesso. Anche sei hai preso troppe botte, e hai perso. Anche Jake, dopo la carriera da pugile continuò a sferrare cazzotti in un locale, facendo l’artista, “perché oltre al pugilato sono artista raffinato!”.
I pensieri sono come vortici pericolosi, ti addentri nella giungla. Ti versi da bere nel cuore.
Il confine per impazzire è lì dove non riesci più ad accettare la realtà, e la trascendi, vai oltre. Io sono andato oltre più volte. Ho visto. E’ molto facile. Mi è capitato di impazzire chiuso nella mia stanza, nella mia scuola, nel mio quartiere, nei supermercati, nelle città e nei bar.
Un mondo fatto di culi venduti, di merci, di papponi, di tossici, di gente di merda, senza scrupoli. Vinci solo se sei alla moda. Vinci solo se produci, se consumi. Se sei figlio di qualcuno. Vinci se vai in palestra, se fai sport. Vinci se sei un brillante studente universitario. E’ una questione di qualità.
Mi è capitato di impazzire in fila agli sportelli dell’università ogni giorno. Mi è capitato di impazzire quando gli esaminanti mi ridevano in faccia. Quando ero meno di niente tra le matricole. Quando mi svegliavo la mattina e avevo soltanto voglia di vomitare, non di alzarmi. Quando ti rendi conto che se non sei produttivo tutti ti si riversano contro. Quando comprendi che sei costretto a lottare ma non ci riesci. Mi assalivano. Peggio degli animali. La mia casa semplicemente mi sbatteva fuori, mi rigettava, mi vomitava fuori, in mezzo alla merda.
Intorno a me chi scopava, chi se lo prendeva in culo, chi studiava, chi rubava, chi si drogava, chi diventava lentamente un coglione, chi si disperava nella sua stanza nella sua depressione. Chi ballava in discoteca, chi frequentava quei posti dove devi essere per forza allegro, e chi andava in chiesa, non faceva differenza. Tutti nella stessa gabbia, a dimenarsi come polli, a vendere ognuno i propri culi al miglior offerente, una questione di merce, di qualità.
Poi mi ritrovai senza soldi. Sciupati tutti in un night. Stesso gioco, stesse regole. Si beve e si dimentica. L’amore ti ha abbandonato. Lei è fidanzata con un altro. Ritorna nei tuoi pensieri come una spina, ritornano le stesse strade a inseguirti, gli stessi posti, gli stessi colori degli alberi, la stessa aria, la stessa macchina, le stesse sigarette, ma lei non c’è. L’amore non gira dalla tua parte, gira, gira, e ti riporta dietro un bancone, tra le solite facce tristi. Hai troppe troie nella tua testa, troppe troie nel tuo letto, troppe troie alla tua porta. Tutti intorno si sentono soli come te.
Rispolveri vecchie fotografie al rintocco degli orologi, sbucano vecchi ricordi, che divengono tristi. Momenti perduti.
Sei al terzo campari-gin, ti commiseri fin troppo, ma, alla fine, ti rendi conto della cosa più importante. Che sei ancora vivo. E solo allora pensi di farla finita sul serio. Pensi a farti fuori, ti guardi attorno, tra le facce stanche e rassegnate dei clienti di quella bettola.
Torna un’altra foto, come un flashback,poi torni sul bancone, e sull’asfalto bagnato, e sul nulla che hai creato.
Più l’alcool sale e più ti sembra di averla accanto. Sei come un febbricitante preso da delirio, colpito da una strana febbre. E’ che da solo l’amore non basta. Non hai più sette anni.
Potrei anche morire ora, sono riuscito ad incasinarmi la vita sempre per non soccombere alla noia. Ascolto le mie palpitazioni, bado a come mi sento.
Ansiolitici, anestetici, antibiotici, antistaminici, antidepressivi. Anti. Dover distruggere qualcosa per restare a galla, per non annegare. E’ meglio un medicinale che una storia infernale. Giramenti di testa, sensazione di vuoto, stati di agitazione, depressione, ossessione, non riuscire a respirare. Paranoia.
Il posto in cui andai a rifugiarmi un giorno, fu un treno notturno. Ovvero in nessuno luogo preciso. Un intercity. Un serpente nero che striscia sulla faccia della terra e buca la notte, penetrando negli antri scuri del pianeta. Restai a guardare con calma dietro i finestrini, mentre fuori il mondo fuggiva via. Ascoltavo il rumore delle ferraglie sui binari, parallelo al procedere dei miei pensieri. Attraversavo gli strati della terra, sprofondando sotto la crosta terrestre diretto al centro. Strati ricoperti di stronzate, stronzate stratificate! Sempre più numerose, che passavano per verità, e mi resi conto che tutta la verità nel mondo si risolve in una sola grande menzogna.
Non mi dispiaceva più di allontanarmi da casa.. Qualcuno, forse, era ancora rimasto lì, fottuto su quella montagna, a maledirsi per l’eternità. Se fossi rimasto lì mi sarei di certo impiccato, non avendolo fatto a sedici anni, quando facevo il liceo e non potevo scappare. Gesù Cristo non ci ha salvati. Ma non mi frega un cazzo. E’ così che deve andare.
Guardavo dalla finestra. Mi nascondevo dietro i vetri. Allora, come adesso, non riuscivo mai ad alzarmi dal letto, né riuscivo mai a prendere sonno. Avevo bisogno di un valium, ma non ce l’avevo. Presi semplicemente a bere una birra in lattina.
Scesi dal treno nella stazione più piccola e abbandonata che c’era. Mi accesi un altro po’ di tabacco, e mi misi in cammino verso un campo di grano, con uno zainetto in spalla.
Avevo deciso di non scegliere.
Nell’epoca dove tutto è falso, non esiste più una linea da seguire ma soltanto prodotti da comprare, crampi allo stomaco, bugie e occasioni perse.
Non saper mai scegliere e sbagliare quasi sempre. Dover scegliere sempre, come al supermercato. Paghi due, prendi tre, e ti regalano anche un cazzo finta da infilarti nel culo.
Rivedendo per caso le pubblicità di fine anni ’80 – inizio ’90, vedo come la tv ha rovinato il mio cervello nell’infanzia. Ricordare perfettamente l’omino del bucato e non ricordare affatto chi sei e da dove vieni. Non saper dove stare e come stare , cosa comprare, cosa fare, in eterno. Fino al delirio. E’ così che hanno creato una generazione di depressi.
Questa è la nostra epoca, e per quanto schifo faccia, è la nostra. Semplicemente la nostra, né più né meno.
Mentre pensavo queste cose, zainetto in spalla, nel campo di grano venne un temporale. Si mise a piovere forte ed era bello respirare quell’impasto di odori che si creava e non mi misi a correre . Il sentiero fangoso mi portò vicino a un piccolo ristorante. I tavoli di plastica con le sedie ribaltate sopra fradici di acqua. Entrai e subito una signora mi sistemò in un angolino nell’interno, riservato ai forestieri. La cucina era del tutto casalinga, una vecchia cucina degli anni '60 incrostata, carta da parati rossastra ammuffita, uno scaffalone alto di legno mezzo pieno di recipienti. Dentro una signora sui 40 cucinava mentre la figlia serviva ai tavoli al coperto insieme a una ragazza rumena. All'entrata un piccolo tavolo, forse riservato agli amici, dove un signore bruno e baffuto con la bavetta al collo, consumava un piatto di pasta affamato. Servivano da mangiare e da bere. Vino e piatti locali. La signora parlava in dialetto stretto, decideva lei cosa dovevo mangiare, la prendeva come un'offesa se rifiutavo le sue specialità. Tovaglie bianche a fiori e vecchie sedie sdraio arrugginite e scricchiolanti. Tutto era vecchio di quasi 50 anni, tranne la gente che era ancora più vecchia. Continuavano ad uscire piatti dalla cucina scura, cupa, rossa, gialla,marrone. Uscivano i piatti col bel volto della ragazza. Un signore anziano mi disse in dialetto che ero arrivato nel paese del burrone, nella fossa del diavolo, e si fece una risata.
Tuoni e fulmini e pioggia fuori, rendevano quel posto un approdo accogliente e sicuro. Era il mio tempio personale, dov’ero semplicemente “uno”, semplicemente io. Com’ero arrivato lì non importava. Rimasi per ore a bere del buon vino locale.
Fuori si aveva la sensazione di essersi persi.
Anche il cielo mi pisciava addosso.

domenica 21 febbraio 2010

attenti ai comunitari permanenti.


"arminejad è un mullah dell'oriente, che vive in un paese di duemila anime e và in giro con un turbante scrivendo poesie. Ha intenzione di prendere il suo paese e una decina di paesi attorno e di fare un parco, poi una provincia a sè, poi una regione, poi uno stato indipendente. Intanto fa proseliti tra le istituzioni.... Ha appena istitutito ad esempio la polizia comunitaria. "


pezzo tratto da "Vita da bar".
Nella foto:La chiesa di Bisaccia (Av), l'astronave di arminejad. O
sarà un'arma di distruzione di massa ?

mercoledì 10 febbraio 2010

Reazioni a catena

“Nuscu è nu carcere apiertu, tutti ngi stannu malamentu, ma nisciuni si ni volu i”. - Peppu Scumazza


Seduto sullo sgabello, con le spalle alla porta, per non vedere chi entra, e soprattutto per non vedere lei che potrebbe entrare da un momento all’altro, la puttana che mi ha tradito. Anche se non entra nessuno, le persone sono poche e poco gradite. Esco ugualmente.
Esco lo stesso tutte le sere, anche se non è un gran bel vedere, anche se per le strade non c’è assolutamente nessuno. Quando escono tutti, ad esempio per andare in discoteca, esco malvolentieri. La maggior parte della gente, inoltre, esce sempre nel momento peggiore.
Esco lo stesso perché sennò impazzisco. Mi serve sempre un maledetto bancone e un maledetto bicchiere. La maledetta puzza della strada. E’ un veleno da cui se ti disintossichi troppo la tua stabilità mentale diventa a rischio. Di questo veleno, come ogni altro veleno, è meglio prenderne una dose continua o non prenderlo affatto, in modo da iniziare a tollerarlo.
Esco da solo, perché anche in questo caso è una questione di abitudine, anche se la tua stabilità mentale rischia lo stesso. Ma infondo, vaffanculo la stabilità!
Apro il mio taccuino e mi apparto. Qualcuno alla fine si avvicina sempre e inizia a commentare per infastidirmi. So benissimo che a nessuno interessa un cazzo di quello che scrivo, ma infondo è impossibile scrivere qualcosa di interessante, perché è tutto inutile. La scrittura è una masturbazione che serve ad arricchire l’ego narcisista di chi la fa. E’ solo questo. Io la abbino al vino, e così passo le serate. Certo, sono più i fogli che ho bruciato nel cesso che quelli che ho pubblicato.
Ma voglio dire questo: alla gente interessano solo le minchiate, sono quelle che fanno girare il mondo, le stronzate. Vogliono essere presi per il culo e incantati; per questo la televisione è il mezzo di “comunicazione” ( non lo chiamerei così, lo chiamerei mezzo di inculamento e marchiamento dei cervelli) privilegiato.
Io non sono talmente socievole e interessato alla gente da scrivere qualcosa per fargli un piacere.

Io non sono talmente socievole da farmi una sega. In tutta tranquillità. Nemmeno.

Il luogo in cui vivo è quello che è . Ti nasce e ti cresce dentro come un verme nello stomaco.
Qui ovunque semini non nasce niente. Ogni cosa che lanci si schianta sull’immobile roccia.
Il paese adagiato male e stanco, abbandonato a sé, sotto continue piogge invernali, assume le sembianze di una fogna. E’ una fogna che mi sento dentro. Piove da diversi giorni che non mi ricordo più l’ultimo giorno di sole, ma mi va bene così. Anzi il cielo grigio cupo plumbeo, specchia meglio la mia anima stufa. Vorrei che fosse sempre così, in uno stato di quiete, sebbene la quiete di cui parlo sia intrisa di morte e desolazione.
Le fogne sgorganti sono in simbiosi con il paese, che pare tutto intero una fogna sgorgante. E le case di cemento e alluminio sembrano monche e sgualcite con i loro marciapiedi sull’asfalto dissestato.
La mia vita si svolge sempre in questo genere di luoghi, dove la gente vorrebbe sempre stare in altri luoghi. Per questo anch’io sono in preda a una tale frenesia, che non mi consente di fermarmi.
Ho visto le città. Ho visto città di tutti i tipi, le ho anche vissute in una certa misura. Più che dei grandi cacatoi, non mi sono sembrate altro. Io, ragazzo di provincia, non potevo che contemplare l’anonimato e il movimento continuo senza senso. L’intrecciarsi di storie e di situazioni, nelle quali districarsi diventa impossibile.
Nel frattempo, qui stasera c’è una coppia di coniugi cattolici chiusi in casa con giocattoli erotici.
C’è una quarantenne sfiorita, depressa e alcolizzata, fumatrice incallita, appesa a un bancone.
C’è un ritrovo di borghesotti intellettuali inutili intorno ad un tavolo nel loro salotto da bene, rinchiusi da qualche parte.

I CONIUGI

Una coppia come tante, un uomo e una donna intorno ai trentacinque anni, Marina e Francesco, sposati, con un figlio dodicenne. Un lavoro onesto e ben stipendiato, il loro appartamentino in un condominio, un piccolo spazio di giardino, un garage con due posti macchina. Stimati e rispettati da tutti nel timore di Dio e nel decoro cattolico più squallidamente normale.
Così come ogni domenica andavano a messa nella cattedrale, e ad ogni festa di paese fossero presenti, ad ogni funerale per onorare il defunto, e ad ogni cerimonia o occasione di ritrovo da salotto, così pure, una volta alla settimana si mettevano in macchina e andavano nelle periferie degradate di Napoli o Salerno a trovare mignotte, trans o ragazzini.
Non c’era nulla di male, ma vivevano un altro mondo, per scrollarsi di dosso quell’immagine per bene almeno ogni sette giorni.
Non ci meravigliamo se il figlio avesse ben altri vizi. Conobbi la moglie perché gli piaceva farsi sbattere ogni tanto da me, e un giorno mi chiamò, mentre il marito era al lavoro. Mi chiamò alle 6 di sera, allarmata, implorandomi di correre a casa sua. Corsi da lei, pur avendo capita che non si trattava che voleva farsi sbattere, e la trovai di fronte alla porta del bagno. Suo figlio si era chiuso dentro da oltre due ore e non voleva uscire.



-Io cosa posso farci?- le dissi –Non sono mica un pompiere! Prova a chiamare il padre! -.
-Il padre è a lavoro e ogni volta che qualcosa non và si incazza con me, per questo ho chiamato te-.
-Ok, risolvo tutto io-. –Anzi, no, io me ne vado ! –
-Fa qualcosa! –
-Ok , ok faccio qualcosa! - e dissi – Vuoi uscire fuori da questo cesso o no? – Rivolto al ragazzo. Non rispondeva.
-Ok provo a sfondare la porta! –
-No, ma sei pazzo! –
-Ok, chiamo i pompieri- .

Arrivarono in mezzora, io fumavo e me ne sbattevo i coglioni.
Marina in preda al panico, e i pompieri presero a sfondare loro la porta e trovarono il ragazzo con una scopa incastrata nel culo.
-Benissimo, grazie Marina, il nostro lurido amore è finito così- . Salutai e ringraziai e tirai la porta.
Ma le vicende dei due coniugi non poterono che girare di nascosto per il paese per motivi analoghi.
Venni a sapere che li trovarono quelli della protezione civile, con il cazzo di un ragazzo giovanissimo incastrato in quello di Marina, e con il cazzo del marito incastrato in quello del ragazzo.
Reazione a catena.