martedì 17 agosto 2010

I tre

I tre



Avevano visto la loro situazione, la luna aveva parlato, quella era la loro fortuna. Ognuno usava dei meccanismi da codardo per sopravvivere. Uno ripeteva per ogni cosa - impossibile -, uno diceva a se stesso di non farcela e un altro si faceva prendere dalle palpitazioni con più stile.

Oltre a loro c'era uno che li comandava a bacchetta. Uno dormiva nell'immondizia, uno per terra in mezzo ai cartoni e uno per terra e in mutande.
Cosa non si tollera dopo aver tollerato la vita. Si può tollerare tutto dopo aver visto nella palla di vetro soltanto la propria immagine riflessa.

Non avevano nemmeno i soldi per andare al bar, ci provavano con ragazze indifferenti e fredde. Erano ragazze che andavano a scuola da un tossico e si innamoravano di lui.

Non devi mai dare importanza a una puttana. Vedi sfuggire la vita tra le dita, davanti agli occhi e non hai nemmeno gli occhi per piangere. E il tempo passa in fretta, la situazione presente per quanto stagnante e penosa sarà quella che un giorno si guarderà con nostalgia e con sottile commozione per la gioventù, sprecata ma andata via.

Infondo però sanno di essere degli eroi, perché hanno vissuto le vere disavventure della vita, e il loro sforzo immane per cose piccole e innocue è paragonabile a quelle di un uomo che è salito sopra alla luna.

Uno dei tre viveva lavorando in nero, venendo merce contraffatta al doppio del prezzo. Un altro si dava da fare nei servizi sociali. Un altro aveva un lavoro onesto ma non era in grado di farlo.

Intanto molti andavano in giro come lampadine fulminate. In questo paese ci si assuefa in fretta al pensionamento anticipato. E’ un pensionamento campando coi pochi spiccioli che gli passano i genitori, finchè ci sono.

Loro tre invece dovevano cercare di sopravvivere. Erano eroi perché erano quelli che lottavano.

Seppur sfigati, quando il momento era decisivo avevano lo sguardo di ghiaccio e il sangue freddo. E’ così solo quando non si ha niente da perdere.

Si ritrovarono tutti e tre per caso su una panchina una sera d’estate. Immobili. Alcuni sono esclusi dal mondo. Erano così rinunciatari che riuscivano a vedersi da fuori e si compativano, che arrivavano quasi a commuoversi.

“Chi l’avrebbe detto che proprio noi avremmo fatto questa fine? Non dovevamo essere noi a farla. Chi l’avrebbe detto che proprio noi saremmo rimasti qui, gli unici che avrebbero dovuto andarsene? Siamo tutti e tre imparentati, anzi, siamo tutti e tre la stessa persona! A volte nella vita sei un personaggio costruito dagli altri, a volte sei un personaggio involontario. Questa è solo la trama di un film e noi siamo le comparse del loro set ma i protagonisti in un mondo che va al rovescio! Tutto sommato rottami, ma anche i soli ad essere così schifosamente veri! “

Continuavano a parlare tutta la notte. Le loro voci mi martellavano il cervello, erano come tarli incessanti. Continuavano a parlare sulla panchina, sotto l’albero, per l’eternità.

Quelli che vedranno inevitabilmente sfumare i propri sogni e la propria gioventù in una bottiglia di vino. La vita com’è a Londra la vediamo, ma non possiamo sfiorarla. Ormai ci trattengono, per farci morire qua, per campare sulle spalle nostre! Chi è felice, d’altra parte, campa sempre sulle spalle di qualche disgraziato! A noi non interessa affatto di morire ma non ci spaventa minimamente. Se potessimo stasera, passeremmo tutta la serata tra droghe, alcool e donne in macchine decappottabili. Non siamo nemmeno meglio di loro, di quelli che si godono la vita. Certo , possiamo permetterci qualche campari gin al bar e passare queste serate a vuoto, fuori dal palcoscenico o girando in macchina senza trovare mai il posto giusto, dove siamo ben accetti. Ma ci avete mai pensato che nessuno vuole stare in casa con noi? Nemmeno noi tre andiamo d’accordo! Infatti viviamo in tre monolocali separati!

Lo sappiamo già, ma stasera mi và di parlare. E’ mai possibile che anche i ragazzini ormai ci prendono per il culo? Che ci tirano gli scherzi e i petardi sotto ai piedi? Siamo pensionati ma senza pensione! E’ una pensione che si chiama – questa è la tua sorte ! “

Poi ci fu un silenzio lungo, fatto di sguardi, di occhi lucidi, di rimpianti, di sensazioni amare.

Alcune persone sono state fottute direttamente da Dio, forse.

Quei tre mi assillavano da dieci anni. Un modo per fuggire dalla realtà era dare retta a quelle voci, meglio loro che quelle vere.

Quello che sapevo è che c’era odore di pioggia nell’aria, di foglie secche e di granturco, come se fosse settembre.

Ero appena stato sbattuto fuori dalla casa – vacanze che era stata organizzata da un’associazione, non potevo sopportare il mio livello di trasandatezza. Ci provavo spudoratamente con le ragazze, ero asociale, non mi divertivo.

Il padrone del mio monolocale mi aveva avvisato che avevo una settimana di tempo per fare le valigie e andarmene. Sarei ritornato a casa dai miei genitori, dove c’era anche mia sorella che si stava per sposare.

Avrei dovuto trovare in fretta un’altra stanza, la scelta non era molta ma infondo non avrebbe fatto alcuna differenza. Mi sarei svegliato ancora tardi con la puzza di non so cosa in giro e quando mi sarei guardato allo specchio avrei provato lo stesso ribrezzo di sempre.

Era pur sempre un’impresa da eroi trascinare avanti la propria carcassa.

martedì 3 agosto 2010

Senza le carte in regola


Non ho le carte in regola, come tutti gli altri. Non voglio prendere soldi per cerimonie insulse e di sapore medievale come i matrimoni, le feste di laurea e cazzate varie. Non mi interessano i complimenti e le pacche sulle spalle o i lavori attorno a dei parassiti con buste paga ridicole per risparmiare e fare dei mutui. Di me non se ne frega nessuno, solo ipocrisie residue. I miei genitori mi passano dei soldi che non mi servono per campare ma per ubriacarmi. Sono un pezzente. Delle mie celebrazioni non me ne frego niente nemmeno io. Il mio nome si riferisce a un santo che non è importante.

Il vero metro della pezzenteria è il cesso, e le zanzare. Mi spiego meglio : si è veramente poveri solo quando non si ha nemmeno il lusso di trovare il cesso libero per andare a cacare, e intanto animali strani e immondi ti rovinano la vita, ti danno fastidio dalla mattina alla sera.

Ecco che sotto i trent’anni dovrebbe scattare il campanello d’allarme, che è costituito da comandi dettati dalla morale pubblica che dicono sussurrandoti nel cervello : - una casa…una moglie…i figli…un lavoro…i mobili…come organizzare un matrimonio di lusso anche essendo poveri - . Pagare un prestito per vent’anni per organizzare un giorno di celebrazione cattolica e opprimente che te lo mette in culo a vita.

Immaturo. Sono anche immaturo ma marcio, un controsenso. Se fossi solo immaturo avrei il privilegio di essere ancora un frutto fresco, invece no. Sono una mela marcia. Le mele marce come me finiscono male, finiscono all’ospedale, finiscono in manicomio, finiscono sotto un ponte, si suicidano, muoiono di cirrosi epatica, muoiono in solitudine.

Io vivo in un monolocale cadente e squallido di Lancusi, nell’hinterland di Salerno e non trovo mai il cesso libero.

Dovrei prendere e fuggire, questi luoghi mi stanno stretti, la campania mi fa schifo, i miei genitori li odio.

Provo a partecipare a concorsi di tutti i generi senza vincere mai. Concorsi musicali, concorsi letterari, concorsi…concorsi…

Ho voglia di impiccarmi in questa stanza. Non ho voglia di uscire e di farmi vedere. Ho voglia di ubriacarmi, di spaccare queste maledette mura, di combinare un casino enorme.

Non ho voglia di lavorare senza guadagnare niente. Qui c’è tanto da lavorare, ma nessuno ti paga.

C’è che il lavoro e una cosa e la fatica è un’altra. E c’è anche che in questa epoca sfortunata e di trapasso in cui mi è toccato vivere c’è una svolta fascista in atto. Parole come “tolleranza zero” rivolte ai disoccupati fannulloni e mammoni, agli immigrati stupratori e assassini, ai terroni, ai gay, ai comunisti pessimisti, scansafatiche, accattoni e drogati. E massima clemenza per gli ultramiliardari e i politici (mafiosi).

La mia arma adesso è la scrittura, adesso è la chitarra. Suono e scrivo per combattere, non per sopravvivere. Anche perché saranno questi i motivi che mi porteranno alla tomba insieme all’alcool, questo grande compagno di vita, l’unica entità terrestre che mi dà sollievo, perché è come una puttana dal cuore d’oro: tu sai che è squallida e non ha niente, ma è l’unica cosa reale che c’è, libera da veli e pesanti strati di ipocrisia e superificialità.

Bruciano i libri, bruciano le biblioteche, bruciano i carburanti, bruciano le scottature, i livori, i rancori, e non bruciano i quirinali e non bruciano i vaticani.

La stazione è lì, il bar è lì, sempre lì che mi guarda. Mi sta rovinando, mi prende il tempo. Vado verso il bar.