martedì 22 febbraio 2011

La domanda

“I soldi che ho in tasca sono tanti quante le persone rimaste in paese: zero. Mi frugo bene in tasca e ci trovo un euro. Che faccio? Lo investo in cocaina e divento ricco nel mondo del narcotraffico o vado al bar e mi scolo una Peroni?”
Questa era la domanda.
Andai per la seconda.
Nel bar c’erano i soliti depressi senza soldi, senza fica, senza un cazzo di meglio da fare che buttare il proprio tempo e la propria vita in quella latrina.
Non ricordavo da quanti giorni, mesi, anni quei tre erano seduti allo stesso tavolo a giocare a carte e a ridere imbottiti di psicofarmaci e di birra. Non ricordavo nemmeno perché avevo deciso di alzare il culo dal letto, mettermi le scarpe, aprire la porta, scendere le scale e arrivare fino a lì.
Allora mi sistemai sulla sedia del bar e mi misi a scrivere il mio ennesimo congedo dal mondo. Ogni volta che scrivevo qualcosa era un congedo dal mondo, ogni racconto era una lettera d’addio di un suicida.
Uscire voleva dire stare a continuo contatto coi carabinieri, in continuo rischio di essere fermati. Nel paese c’erano quattro persone in giro come cani e sei carabinieri muniti di etilometro pronti a fotterti. Le strade invece erano munite di autovelox di modo che spostarsi era pericolosissimo soprattutto per me che ero illegale per nascita, per natura, per inclinazione, per definizione.
Erano serate fatte di etilometri, autovelox e sbirri, si poteva stare molto meglio.


Di tutti quanti i miei amici ero rimasto solo io. Un tempo nel palazzo dove abitavo c’erano una decina di ragazzi della mia età e in tutto il quartiere una cinquantina: tutti spariti. Ognuno in una città italiana diversa o all’estero. L’esser rimasti era un attesa di morte. Rimanevano solo i ricordi di chi ero stato, di com’ero, delle cose che avevo già fatto. Ormai non si scopava neanche più. Qualcuno aveva anche smesso di pensarci. Le ragazze erano diventate donne e stavano coi loro mariti chiuse in casa.
Avevano tutti gli occhi chiusi su un fondale o su uno schermo, solo io battevo strade che nessuno voleva percorrere e vedevo posti che nessuno voleva vedere ma ovunque andavo mi portavo appresso il deserto.
La barista depressa, già sfiorita, pensava tra sé: aveva aperto un’attività già stanca ed afflitta ed ora, come una punizione serviva da bere agli operai ubriaconi del paese con la foto di sua madre morta di cancro attaccata al muro. Mi guardava scocciata.
Potevamo anche impiccarci.
Più che lavorare avevo l’hobby del Campari.
Non ero né un mastro di carte né un campione di videopoker, né un malato di scommesse : avevo il diploma del bancone.

mercoledì 2 febbraio 2011

Amore da autogrill

Mi serve un bel pò di alcool
per aggiustare le cose...

Ma
il bar notturno a volte non basta,
ci vuole anche un sostegno morale
quando torni a casa...

Ricordo che
era un amore da autogrill...
il migliore che avessi mai avuto...
consumato in fretta come una sigaretta...
lasciandomi in astinenza
come una droga....