domenica 30 maggio 2010

Cairano

Sulla rupe di Cairano c’è un vento fortissimo e continuo. Vento da tutti i lati.
Il paese da lontano è una mezzaluna, conficcata sui campi di grano.
Oggi ci sono salito sopra sotto un sole pieno che illuminava in ogni direzione.
300 abitanti. Anzi 301, perché è appena nata una bambina.
Ho parlato con due anziani.
Uno era il proprietario del Bar – Mini Market – Tabacchi Arace. Il locale aveva un odore stantio di birra e di carte da gioco e un ventilatore che pendeva dal soffitto. Si vendeva solo ciò che occorreva, niente di più e niente di meno. Un tempo il signor Arace serviva solo caffè fatto con la moka, che si doveva prendere per forza in compagnia:
- Un caffè, perfavore! - ;
- Aspetta che tra mezz'ora arriva Vito e facciamo la macchinetta grande! -.
Nella calura pomeridiana, un anziano bontempone in pantofole beveva una birra, il barista invece faceva battute e metteva di buon umore e mi diceva :
-Qua stiamo tranquilli, possiamo lasciare la porta aperta...-
Mi raccontava che da giovane era stato a fare il barista a Sorrento, ad Amalfi, a Praia a mare e che ora se n’era tornato al paese, per passare la vecchiaia nella massima serenità. Mi diceva come vedeva i forestieri che ogni tanto venivano a Cairano incuriositi dal posto.
-Quando viene qualcuno e mi dice : - Ma come fate a campare qua sopra, in questo paese? – Io gli rispondo . –Ma non ci rompere…le uova nel paniere! Qui ci può stare solo gente tranquilla! - .
Così era, e lo sapevo bene; e mi ha offerto una birra.
Voto 10 al Bar-Mini Market Arace e al proprietario.

Uscendo dal bar, ho attraversato la via del paese dove abita Zi Carminuccio, lo conobbi una sera che c’era una festa e mi chiese di andare a trovarlo più spesso, e così stavo per mantenere la promessa.
Camminava con un coppolone in testa sotto al sole, l’ho salutato, non si ricordava di me. Ha una ottantina d’anni, e vivendo lì non si è incattivito e avvilito come i vecchi che stanno in città, ma ha conservato un sorriso proprio della gioventù, la vecchiaia gli si legge sul volto serenamente, e fa tenerezza.
Nonostante non sapesse più chi ero, era felicissimo di parlare con me e mi diceva che alla sua età era ancora un buon amatore. L’ho lasciato subito perché sapevo che avrebbe voluto trattenermi per troppo tempo.
Io infatti ero uno di quelli legati al tempo, all’ansia che ne viene, ed ero un elemento discordante. Infondo ero andato solo a rubarmi un po’ di silenzio e di felicità, e nel frattempo mi era anche venuta voglia di comprarmi una coppola nuova.

giovedì 27 maggio 2010

Sulle pale eoliche

Non conosco il vostro Cristo
e rifiuto l'idea della mia anima pezzente.
La mia rabbia, da sola,
potrebbe alimentare il sistema d'illuminazione di questa città di merda.
Giro a vuoto per questa terra a sud di niente,
m'infilo in una pala eolica,
il vento si illumina di fuoco.

Siamo tutti presi da cose senza senso,
in quest'età crepuscolare.
L'arte è borghese
e nei salotti intanto
continuano a parlare.
Non si ambisce a diventare scrittori,
si ambisce al massimo a una scopata.

E alcuni si sentono in competizione con me,
io, di norma, li lascio fottersi,
fino all'ultimo.

martedì 25 maggio 2010

Nuovi e vecchi vocabolari

Poco fa pensavo a quanto si sono imborghesiti i miei amici, a come il loro vocabolario si è tramutato in : soldi, affari, business, spiagge, vacanze a Capri, macchine, speranze di matrimonio, essere stimati in paese, fare cose “normali”.
Da anarchici sognatori di un tempo a piccoli “berluschini” che non vedranno mai la luce di diventare ricchi.
La piccola borghesia : l’incubo peggiore in cui si potesse piombare.
E’ l’anima stessa che inizia a cambiare, dopo che è cambiato il culo, avendolo venduto al mercato.
Non si fa niente se non per soldi. Ogni piccolo gesto della vita quotidiana, finanche una sega, è finalizzata esclusivamente a scopi di lucro, a logiche di guadagno economico, di ladrocinio da pollaio. Un gozzovigliare continuo ed inesorabile in mezzo alla miseria, uno spilluzzicare carne da vicino all’osso. Nessuna azione della vita quotidiana si fa per la spiritualità e neppure per edonismo, neppure per il piacere di farla e basta. Nemmeno più farsi una puttana.
Siamo entrati in questo incubo e non sappiamo più come uscirne, nemmeno il fascismo era riuscito a fare tanto.
Sono rimasto solo definitivamente, sono diventato come “lu lupu”, e forse, meno male. E’ la migliore occasione della mia vita.
Avevo proposto di tutto, avevo tentato di tutto, ma i miei progetti sociali avevano un grave difetto: non prevedevano alcun guadagno in termini economici. E’ così che sono rimasto al di fuori.
Un giorno mi venne in mente che oltre un sentiero tra le montagne dei picentini, abitava un uomo, detto “lu lupu”, e mi ero deciso ad andare a trovarlo, nella sua casa-capanna sotto i castagni. Era chiamato così perché detestava i rapporti con la società, non scendeva dalle montagne da anni, voleva stare solo, evitava le persone.
Aveva un orto dove coltivava di tutto, e una zona adibita alla legna. Poi in una zona nascosta dietro i castagni, una piccola piantagione di canapa, che gli serviva per fare tessuti, oltre che per fumarsela a fine giornata, al calar del sole e sbattersene del mondo. Aveva barba nera incolta, avevo un’immagine di lui mentre sbucciava patate con un coltello a serramanico in un contenitore di ferro, poi le metteva a cuocere e si fumava una canna, addormentandosi sulla brandina sfondata e bevendo vino.
Pensai che era di sicuro più felice di me, e infondo, chi non lo era, così decisi che non era il caso di andare a fargli visita, perché io non ero un giornalista e lui, dal canto suo, avrebbe fatto bene a mandarmi al diavolo.
Lu lupu se ne stava lì, adagiato sul letto con le mani sporche di terra, nemmeno il bisogno di lavarsi più del dovuto o di cambiare vestiti. Nemmeno un televisore o un cellulare, nessuna sorta di appuntamenti, nessuna fretta.
Ecco chi erano i veri anarchici, quelli come lu lupu. Non i giovani rampanti alla moda, che predicano trasgressione, che seguono lo stile di vita della disobbedienza, che vogliono farsi piacere dalle ragazzine. Nemmeno io infondo ero del tutto anarchico, ero intrappolato anch’io, incasellato nel posto dello scaffale degli esclusi, ma facevo pur sempre parte di quello scaffale.
Ero un fottuto presuntuoso, forse. Pretendevo di fare in qualche modo cultura in un mondo che ormai non era affatto interessato all’argomento. I locali continuavano a pagare 200 euro a serata dei penosi dj e non davano mai un cent per i reading e per la musica buona. Per quello mi stavano abbandonando tutti, perché ciò che volevo fare io non aveva vantaggi economici. Ma io continuavo a farlo.
Una sera il gestore del locale non ci voleva pagare, diceva che la serata era andata male e che il mio linguaggio era stato troppo sconcio. Il resto della band riuscì a farsi dare un rimborso, io nemmeno quello. Era solo l’ennesima serata che stava precipitando in alcool, in autodistruzione, a cui sarebbero seguiti crampi allo stomaco, dolori lancinanti ( i soliti ), e sputi di sangue.
Quando uscii fuori dal locale la ruota della mia Fiat Panda era a terra, lo era anche quella di scorta. Non ci fu verso per ripartire e andarmene sulle quattro ruote. Sarei dovuto andarmene con le mie gambe. Mi incamminai perduto, barcollante. Trovai per strada un piccolo spazio di terra dove vomitare e accasciarmi per un momento, e non riuscii più ad alzarmi. I forti dolori allo stomaco iniziavano ad insistere, mi distesi sulla fresca erba ancora bagnata e mi distesi del tutto, avevo trovato il mio giaciglio mortuario. Era un piccolo prato di Bolano, pieno di cartacce e buste di plastica e detriti, ma mi sembrava una prateria.
Mi svegliò un camion che raccoglieva la spazzatura alle 7 e mezza di mattina. Pensai che avrebbe anche potuto prendermi.
Tra tutte le cose che avrei potuto/dovuto pensare, pensai a cambiare la ruota della macchina.
Mi misi a fare l’autostop sotto la cabina di una fermata degli autobus. La gente che passava aveva in macchina sempre dei grossi pacchi, appena acquistati probabilmente all’Ikea e andava di fretta. Tutti andavano di fretta. Stendevo il pollice lungo la strada per farli fermare ma non voltavano nemmeno lo sguardo. Nessuno in quel posto di merda ti dava un passaggio. Erano cattivi e spietati, avevano l’aria di schifo nei miei confronti. Si chiedevano come mai quel pazzo era rimasto a piedi, perché magari era un drogato, e mentre lo pensavano erano ancora più orgogliosi di avere una macchina, un lavoro e una povera donna che li aspettava a casa.
Rinunciai in fretta a cercare il passaggio, mi misi addosso il mio corpo e me lo trascinai per la strada, diretto verso la macchina. Qualche chilometro, e andai a prendere la ruota di scorta nel posto dove avevo lasciato la macchina la sera prima.
La presi abbracciandola con due mani e la portai a gonfiare da un benzinaio. Volle un euro per il servizio. Poi ancora qualche km per tornare indietro con la gomma gonfiata. La sostituii, imbrattato di grasso, mentre si metteva a piovere.

lunedì 17 maggio 2010

La gente non merita

Non c’è altro modo per scrivere se non alienandosi del tutto. Scrivere nei momenti meno opportuni, scrivere quando non dovresti, quando dovresti fare altro, o per contemplare l’oblio dei tuoi luoghi asettici.
Si scrive solo per i soldi, o forse no. Si parla con una ragazza solo per scoparsela, o forse no.
Non si può pretendere nulla più di quello che hai, di un bicchiere di vino e di un giubbotto di pelle per ripararti dal freddo, e condividere ciò, a volte sarebbe bello.
Una sera mi avvicinai a una ragazza più giovane di me e le chiesi se voleva qualcosa da bere. Mi rispose secca di no. Dato che ero ubriaco riuscii anche ad insistere. Lei restò impassibile per tutto il tempo e intanto guardava un tipo seduto vicino al bancone. Io le chiesi cosa c’era che non andava con me e mi rispose : - Perché sei il più brutto del locale! – e intanto continuava a guardare il tipo. In effetti ero nel posto sbagliato, sentivo in sottofondo una musica latino-americana. Mi sentii d’un tratto inadatto a quel bar e me ne andai come un cane bastonato. La lasciai che si mise a ballare quel ritmo latino idiota, e sorrideva.
Fu proprio quella stessa sera che chiamai Debora. Era l’ossessione della fica. Debora non rispondeva. Debora era più fredda di un ghiacciolo. Mi risuonavano solo le sue parole in testa : - Non voglio illuderti ! -.
A quel punto lasciai cadere il telefono per terra e ricominciai a bere, dopo qualche giorno di astinenza. Si beveva perché non si scopava. Quando sono lucido sono depresso, quando sono ubriaco sono contento di essere depresso. E non vedo gli altri.
(Quando bevo torno a sperare perché non sono abbastanza lucido per capire. Deliro liberamente come un’aquila volando sopra al cielo, planando leggero, vedendo posti che non potrei mai vedere. Ma capita anche che ti si avvicina un tipo sul metro e novanta, infastidito dalla tua scarsa felicità e ti dice – Bhe qual è il problema ? -. In questa periferia del mondo, del sud, nell’hinterland della periferia, tra puzza di pelli e di scarichi industriali. Io gli rispondo : - stai calmo amico, qui siamo tutti nella stessa barca, anzi nello stesso hotel-. Un fottuto hotel, una fottuta stanza asettica e troppo pulita, ed è molto facile uscirne, cosa credevi? Questo non è l’hotel California, quando finisci i soldi ti sbattono fuori a calci in culo - .
Un luogo di scampo, in realtà, non esiste. Esiste una dimensione infernale sulla terra e solo sulla terra. La solitudine esiste, anche al di fuori dei reality show. La disperazione è ciclica e in quanto tale ritorna sempre, e io a questo ci sono avvezzo. Scrivo solo perché forse un giorno qualcuno leggerà queste cose, e se non sarà così, dovrà andare bene lo stesso.
A volte mi consola un po’ il fatto che la gente ipocrita, falsa, ladra, senza questo minimo di onestà un giorno dovrà pagare il conto, trovarsi di fronte alla realtà e mettersi un cappio al collo prima di me ).
Ognuno traffica per un suo interesse che difficilmente puoi capire e di conseguenza mi viene a mancare la forza di alzarmi dallo sgabello e di abbassare il gomito.
Alcune persone godono del fatto che stai male, altre cercano di usarti, altre di fare in modo che le guardi. Altre si sentono in competizione con me, io di norma, le lascio fottersi.
La follia di lottare contro qualcuno non mi può interessare. E la follia di lottare per questa società crepuscolare, avida, decadente, malsana, neanche. Mi limito al mio limite. La gent

IL BAR DELL'AUTOSTRADA

Voglio stare nell’anonimato. Nel bar notturno, nel bar anonimo emarginato. Nei bar che non vanno di moda, e bere. Voglio vedere i camion parcheggiati fuori, e bere un drink anonimo. Non voglio la mia identità per ora, quella che potrebbe esistere tra gente stabile, che abita il posto, e che non si schioda mai. Voglio stare qui, in questo bar sull’autostrada, tra la gente che passa, che non resta, che è fuori luogo. Conto gli spiccioli che ho in tasca e credo che sarebbe fin troppo bello e accomodante, confortevole e via di scampo, affittare una stanza nell’hotel al piano di sopra e restare a dormire lì, con le luci dei camion che si intravedono attraverso le tendine pallide colorate.Invece lascio da parte questo pensiero e mi compro un pacchetto di sigari a poco prezzo, ed esco fuori. Fa freddo e c’è la nebbia, le luci sono ovattate, mi sento un lupo cacciato fuori dal branco, un clandestino. Il sigaro si brucia, il fumo si espande e si mischia alla nebbia.E’ sabato sera, una pessima serata, buona per gente insensata che va a ballare e fa finta di divertirsi, o peggio ancora, si diverte davvero. Ognuno sta nel suo branco davanti ad un bar. Si dividono così tra queste cupe valli a ridosso dei monti.Non ho nessun motivo per unirmi a loro, voglio solo bere, è più forte di me e mi ero anche promesso di smettere, ma non riesco ad affrontare la vita in altro modo.Sono una menzogna vivente, la mia vita è una menzogna. L’unico modo per non mentire è starsene da soli.

Riprendo il mio giro in macchina coi fari antinebbia e i segnali stradali si susseguono, inerti, come se volessero fuorviarti, indicarti ancora una volta la strada sbagliata. Il mio giro è infinito e mi fa compagnia solo la spia rossa che indica che sta finendo la benzina, lampeggiando. Passo sopra un ponte, per vie di campagna, ruvide, franose, anche pittoresche se ci si sforza.Il segnale che si vede più spesso è quello che indica pericolo, e mi mette calma: non sono il solo ad accorgermene. E’ da più di un’ora che giro ed è il tempo necessario per capire che qui si gira in tondo, e non si arriva da nessuna parte. Cosa fare? Bere! Non appena la gente del sabato sera se ne sarà andata.Sono in una stazione, e nemmeno me n’ero accorto, costa stavo aspettando? Il treno non passa di qui da più di vent’anni.

sabato 8 maggio 2010

Piove merda

Mi svegliai la mattina, pisciai, bevvi un bicchiere di orzo freddo, scesi giù dalle scale e andai a prendere la macchina. Era diventata marrone. Aveva piovuto per tutta la notte, ed aveva piovuto ceneri di rifiuti industriali, quelli che respiravamo tutti i giorni. Merda dal cielo. Ma il cielo se ne stava li per i fatti suoi fino a che qualcuno non è andato a importunarlo.Entrai in macchina e stesi un po’ il sedile, mi dava fastidio la postura di quella macchina, troppo stretta.Avevo solo avuto un piccolo diverbio con una persona con cui dividevo la casa, quel cacatoio. Si erano spaccati gli oggetti, erano volate madonne e rosari e i vicini bigotti e coglioni avevano chiamato i carabinieri. Ma ero tutto intero.Avevo preso la macchina perché volevo andare da qualche parte, ma non sapevo dove. Non c’era un posto che mi piaceva, la gente la detestavo tutta, e tutte le regioni e le province d’Italia le odiavo, eccetto l’irpinia e la sardegna.L’unico posto dove potevo andare a perdermi era il supermercato, il posto più squallido in assoluto. Parcheggiai in terza fila ed entrai in quello più vicino. Mi misi a girare per i corridoi, diretto verso l’angolo degli alcolici. Comprai una buona bottiglia di vino rosso, a prezzo buono, un Montepulciano d’Abruzzo, e mi diressi verso la cassa. La signorina che faceva il conto alla gente in coda mi guardò con uno sguardo robotico, mi diede lo scontrino, si prese i soldi e mi liquidò. Tornai immediatamente a casa e mi stesi sul letto. L’aria fuori era cupa. Il mondo era una fabbrica di sogni infranti, la fabbrica degli aborti, delle piogge acide e nere. Non si poteva scappare, ecco perché ero tornato nella mia stanza a rinchiudermi. Avevo il vino vicino al letto e le canzoni di Vinicio Capossela, Elliot Smith e Jeff Buckley che giravano per la stanza. Era poco, era niente, ma mi bastava.Fuori il cielo si confondeva con l’asfalto, e con le case era un tutt’uno di grigiore infernale, chissà dov’era finito Dio. Non c’era nessun motivo per alzarmi dal letto, nessun motivo per spendere il tempo in altro modo : scommesse, giochi da tavolo, partite di calcio, donne stupide, chiacchierate inconcludenti, videogiochi, cellulari, macchine, vestiti, cene…o cazzate simili.L’aria era vuota, la pioggerellina era sporca e quei cessi…quei cessi… erano sporchi. Quei rifiuti che leggevi negli occhi altrui, l’ennesimo voto contrario. Il mondo non girava per il mio verso e nemmeno per il verso giusto. Era un continuo e perenne riciclarsi di merda, che pioveva dal cielo ed entrava nei nostri discorsi.Quello che pensavo e mi ripetevo era : qui non c'è nessuno a parte me....Non c'è nessuno, non c'è nessuno, nessuno, nessuno, nessuno nessuno, nessuno a parte me. Qui non c'è nessuno, nessuno...Ero solo.Avevo solo una chiamata da fare a disposizione, e la chiamai. Era a letto pure lei perché stava male. Eravamo in due. Per qualche minuto mi sentii bene. L’oscurità della mia stanza e qualcuno con cui parlare a telefono,almeno.Quando decisi di alzarmi fu perché dovevo andare in un locale a concordare quando avrei dovuto fare la serata del reading “vita da bar”. Arrivai velocemente da Gino, scrostandomi di dosso i pensieri del mio letto, della mia stanza, del mio cranio. Ci mettemmo d’accordo e il pagamento era esiguo come sempre: erano giusto i soldi per ubriacarmi quella sera. Ma si continuava lo stesso a fare serate, nonostante non ci guadagnassi niente : cosa non si faceva per l’arte.Mi estraniai ancora, di nuovo in macchina , l’unico luogo in cui potevo finalmente riordinare i miei pensieri. Troppi! Che mi scoppiasse il cranio! Un cd di Mark Lanegan and the Soulsavers “Kingdom of rain”.Le strade erano piene di tamarri, di mezze checche esaurite, di buffoni di periferia, di idioti, di menomati…Tristi i loro ritrovi con luci da discoteca, e le loro ragazze stupide azzuffarsi come delle galline per qualsiasi cosa.Avevo un altro numero di telefono, e lo utilizzai.Tornando a casa mi fermai in un bar. Andai in quello dove non c’era nessuno. Quello affollato lo scartai a prescindere : era un ritrovo di ragazze che stavano lì solo per farsi guardare, di piccolo borghesi, palloni gonfiati, chi urlava per qualcosa, chi inneggiava a qualcos’altro, chi beveva e si vantava di bere, e quelli erano i peggiori. Anni prima avevo iniziato a capire chi ero io: quello che sta messo lì e non ti parlano, quello che tutto osserva e mai niente cambia, quello che continua a guidare da solo. Quello che sta lì per sè, quello relegato, costretto a guardare, costretto a vagabondare.Due, tre, quattro campari-gin por favor. I soldi erano contati e ben spesi. Il locale stava chiudendo, le cameriere pulivano a terra, raccoglievano le schifezze che i loro clienti gli avevano lasciato. Bevevo nell’angolo, per i fatti miei e guardavo solo il bicchiere e il bancone, curvo.Simbolo della surrealtà, arrivò una macchina che si parcheggiò di fronte alla porta del locale, una mercedes. Scesero dalla macchina quattro tipi tutti imbellettati e una bionda, ubriachi fradici.Iniziarono a parlare con me, a farmi i loro discorsi. A uno di loro una volta avevo dato un passaggio e già mi conosceva di vista. Si muovevano scoordinatamente ridendo, urlando. Il padrone del locale chiuse la porta e restammo chiusi dentro, per non avere noie con gli sbirri. Urlavano, mi volevano parlare di questioni di paese e cazzate simili. La bionda incalzava su di me. C’era da chiedersi che cazzo volevano da un disperato. La testa mi scoppiava. Io non volevo stare in quel posto, era il diavolo che mi ci aveva portato. La bionda a un certo punto si mise ad urlare in arabo, i tipi attorno non so cosa dicevano, ma mandai a fanculo la bionda. Non mi meritavo una compagnia simile. Poi li mandai a fanculo tutti e mi avvicinai all’uscita. Volevo soltanto essere lasciato in pace. Uno cercò di riapprocciare con me ma io reagii male e gli dissi – Vaffanculo banda di idioti teste di cazzo! - . Uno mi prese e mi scaraventò a terra, qualcun altro iniziò a prendermi a calci. Sentivo solo i calci sui fianchi e sul braccio e provavo a reagire ma senza forze. Appena mi alzai mi fiondai contro uno di loro, un altro mi prese di forza e mi sbattè fuori dalla porta del locale. Mi ritrovai con il culo sul marciapiede. – Vaffanculo di nuovo pezzi di merda ! Diglielo ai tuoi amici che sono dei pezzi di merda! - . La macchina infangata di merda tossica era li che mi guardava, mi accesi una sigaretta e restai li a guardarla.Qual era il senso per cui mi trovavo lì. Non ero nemmeno sbronzo del tutto e stavo con il culo su un marciapiede. Era il bar sbagliato e puntualmente l’avevo beccato. Litigare con quattro coglioni di periferia non era nemmeno ipotizzabile. Raccolsi i miei pezzi e me ne andai via.

venerdì 7 maggio 2010

Il bar sull'autostrada

"Voglio il bar anonimo, quello che non và di moda, e bere. Il bar emarginato. Voglio vedere i camion parcheggiati fuori e lasciare la mia identità sul fondo del bicchiere, nell'anonimato. Voglio stare qui, in questo bar sull'autostrada, tra la gente che passa indifferente, e non resta, e lascia dietro di sè solo cicche di sigaretta. Conto gli spiccioli che ho in tasca e credo che sarebbe fin troppo bello e accomodante, confortevole e via di scampo, prendere una stanza nell'hotel al piano di sopra e restare a dormire lì, con le luci dei camion che si intravedono attraverso le tendine pallide colorate..."


Luigi Capone, tratto da "vita da bar".

domenica 2 maggio 2010

davanti al bar

Davanti al bar un ritrovo di gentaglia finta,
patetica, insopportabile,
piccolo borghese e snob :

ci sono donne
che stanno li solo per farsi guardare,
ci sono ubriachi che vomitano in silenzio,
c'è chi urla, chi inneggia a qualcosa,
chi sta emarginato
e poi ci sono quelli che bevono e si vantano di bere,
e quelli sono i peggiori.