mercoledì 21 marzo 2012

L'Irpinia

· nel ghiaccio dei paesi altirpini ero solo nella mia panda. Non proprio solo, c'era la mia macchina e quella dei carabinieri che mi seguiva. I portatori di ansia e depressione.
o Poi sono caduto in un lungo sonno.
o Mi sono risvegliato e il serbatoio della mia macchina era vuoto, gli autobus non passavano più, dei treni erano rimasti solo i binari. Non c'era nessun modo per uscire di qui se non andando a piedi!E poi è venuta la neve. Mi sono sentito morto e ibernato. E volano, volano i fiocchi volteggiando nell’aere, li vedi attorcigliarsi, roteare come in una centrifuga nera nel vuoto. E soltanto alla fine si posano, ghiacciati, sulla fredda, cupa e vuota terra e sotto i nostri piedi stanchi. Passi sordi che risuonano nella cavità della superficie terrestre.Antonio è morto di freddo nel suo prefabbricato di amianto. Lo ha trovato la donne delle pulizie pagata dai servizi sociali alle sette e mezza del mattino, steso a terra con un pacchetto di sigarette ancora in mano.Essere nati qui vuol dire essere nati con nessuna fortuna. Tutto è ostile e la terra trema. Gli occhi delle massaie fissi sui lampadari ad aspettare la scossa. C’è paura, ansia e presagio di ineluttabile tragedia.Poi c’è chi tifa per il Napoli e chi per l’acquedotto pugliese.
o L’Irpinia è fatta di paesi in cui tutti sono stati a Barcellona e nessuno è mai stato al paese a fianco.
Qui molti dicono che si stava meglio sotto i Borbone-Asburgo, io dico che si starebbe meglio sotto nessuno.
L'Irpinia è una puttana triste a pecora che da un lato lo prende in bocca e dall'altro lo prende in culo! Senza godere. E come una vera puttana anche lei ha le sue manie di protagonismo. Ma è triste perché di lei non frega un cazzo a nessuno. Perché non esiste, si perde nell’anonimato di diecimila altri posti uguali, e similmente afflitti. Anche i modi di morire sono molto anonimi : ad Ariano usano buttarsi da un ponte, a Nusco preferiscono buttarsi in mezzo alla statale di notte. A Torella, paese fatto di due discese che finiscono in un vallone, si perdono nella nebbia e ci cadono dentro, a Castelfranci pare che si tuffino nella “jomara”.Il bar che frequento io si trova nel bivio, in mezzo a questi paesi. Lì di solito la luce è sempre cupa e non ci batte mai il sole. C’è una fotografia di una donna morta appesa al muro e da ogni parte i muri trasudano angoscia e rassegnazione.Franco ha appena perso centoventi euro in monete da un euro buttandoli nella macchinetta mangiasoldi dello stato e vuole vendermi dell’eroina per riaggiustare le sue finanze.Vincenzo legge il giornale immobile sul suo pancione e pare essersi accorto all’improvviso di avere sessant’ anni.I cattolici praticanti, numerosi nel villaggio, ingannano nei loro occhi il sospetto che non ci sia nessun Dio. Ma subito abbassano lo sguardo e corrono a pregare al riparo da sguardi indiscreti.Piccoli servetti dello stato, scaltri, piccoli e tristi. Smaniosi di racimolare quattrini nei modi più subdoli e vigliacchi. Felici di pagare anche la tassa su Dio. Ecco perché siamo avvolti da un nulla che non è nemmeno nulla, Dalla borghesia non nasce mai niente. Il loro sindaco,votato con una cecità tipica di un popolo ignorante, schiavo e sottomesso, non ha altre preoccupazioni che riempire le strade di telecamere per video sorvegliare un cimitero. Dicevo ad Eugenio che almeno, quando sarò definitivamente esausto di ogni cosa che contiene il mondo, Nusco sarà un ottimo posto per andare a seppellirmi.Del resto il leit-motiv degli abitanti invece è questo : “Non c’è mai nessuno…perché non lo riempiamo di puttane ‘sto paese…giochiamoci la bolletta che è meglio”. Felici di pagare la tassa allo stato attraverso la Snai e le slot machine. Uomini il cui unico obiettivo da raggiungere nella vita, è vedere dentro un monitor una gallina che caca un uovo d’oro.In un mondo di cannibali, questo è un microcosmo di cannibali spaventati che hanno perso i denti.Di giorno pare ci sia un piccolo slancio verso non so cosa. Appena cala il sole si rivelano animali per quello che sono e si ritirano tutti nelle loro tane come se andassero a pregare una divinità pagana del fuoco, o davanti alla tv, la stessa cosa. E’ un posto non adatto a vivere di sera e non adatto nemmeno di giorno. C’è sempre qualcosa che ti impedisce di vivere e qualcos’altro che ti impedisce anche di morire. Ecco l’idea che ho io dell’inferno. Io non sono Dante ma Virgilio collocava la porta dell’inferno a Rocca San Felice.
L’irpinia è un giardino. E’ un ottimo posto per trovare una sana rassegnazione nel proprio vivere inquieto. Il proprio minuscolo posto nel mondo. Lo spazio.Anche oggi l’aria è salubre e pungente.I nervi non sono distesi, gli sguardi non sono lucidi, il fiato si accorcia, il respiro si appesantisce, le pulsazioni vanno e vengono.

martedì 13 marzo 2012

L'apocalisse

Mi trovavo nella casa di quand’ero bambino. Non mi ricordo come ci ero arrivato. Ero sulla terrazza circondato da tutti i miei amici alti poco più del doppio di un vaso di gerani. C’era Sebastiano, il più basso e chiaro, con i suoi occhiali grandi metà della faccia e Giacomo, scuro coi capelli crespi e i vestiti sempre rossi.
Doveva essere il compleanno di qualcuno, di cui mi ero completamente dimenticato.
Stranito com’ero fissavo l’orologio in cerca di un punto fisso da guardare lontano da occhi indiscreti e mi chiedevo perché passava il tempo.
Tra la tavola imbandita di coca cole, aranciate e patatine sulla tovaglia bianca e azzurra a quadroni e le inferriate marroni del balcone osservavo anche muoversi Sebastiano con una certa inquietudine.
I miei genitori erano una specie di conduttori della festa. Quando mio padre alzò gli occhi al cielo tutti seguirono il suo sguardo.
Vi era una striscia gialla abbagliante sparpagliata lungo tutto il cielo orizzontalmente che avanzava lenta e sembrava tagliare l’atmosfera e tutte le cose. Tutti si chiedevano cosa diavolo fosse.
Sebastiano spuntò fuori con la sua minuta statura e ridacchiando disse che era la carrozza dell’Apocalisse che portava il buio nel mondo.
Nessuno gli fece caso ma io mi avvicinai prontamente a lui e gli chiesi se le cose che diceva avessero un fondamento. Si trovò quasi in imbarazzo, cambiò affermazione poi concluse : -non lo so- .
Qualcuno decise finalmente di accendere la televisione. Era lì che succedevano le cose reali, non sul nostro balcone!
Rimanemmo tutti sbigottiti quando apprendemmo che alla tv era partito un conto alla rovescia per la fine del mondo messo bene in mostra su tutti i canali a reti unificate. Qualcuno si connetteva ad internet e tutti i blog e i social network erano invasi di commenti catastrofici e portavano il cronometro all’unisono.
Dunque era così, adesso ne avevamo le prove, era la fine del mondo e sapevano anche i secondi esatti che ci separavano dalla fine.
La mia festa di compleanno si tramutò in un lacrimatoio, dove ognuno si appoggiava a qualche divano o a qualche mobile come per svenire perdendo le speranze. La luce iniziò a scemare, il sole prese ad eclissarsi.
Non posso dire di non essere stato disperato in quel momento ma sentivo che erano state in qualche modo esaudite le mie preghiere. Volevo che tutto finisse, quello stupido mondo, quella stupida festa, quella stupida gente che avevo attorno costantemente, ogni santo giorno.
Nessuno faceva più caso alla striscia gialla nel cielo alla quale i giornalisti della CNN avevano dato nome di “starlight”. La purificatrice finale.
Si aspettava soltanto la fine. Quando mancavano ormai cinque minuti tutti smisero di fare i razionali o di pregare o di mostrare la propria erudizione in materia stellare e iniziarono ad abbracciarsi. Mi ritrovai abbracciato con tutti. Mancava solo la mia ragazza, chissà dov’era, di sicuro pensava anche a me.
Con il portatile sulle ginocchia si aspettava. La voce più raccomandabile era quella di mio padre che ci istruiva su quello che stava accadendo.
Meno tre , meno due, meno uno. Scattarono gli zeri. Non avvenne niente. Aspettammo altri dieci o venti secondi ma non cambiò nulla.
Era un’enorme bufala. Sui computer e sulle televisioni apparivano scritte che deridevano i creduloni con la promessa, da parte dell’ignoto regista del piano, di fare un fioretto a Pasqua per discolparsi.
Mio padre chiuse il portatile sulle ginocchia e gli uscì soltanto dalla bocca sospirando : - va bè…-. Poi ci fu il silenzio.
Ci avevano creduto tutti e tutti avevano iniziato a sperarci, e molti già avevano iniziato a sentirsi meglio e sollevati dal peso della vita terrena.
Mi veniva da piangere.
Le prime conseguenze furono che la gente cominciò a suicidarsi per la delusione. Avevano tutti intravisto una possiblità di definitiva serenità vicina e perenne e ora gli era stata tolta di colpo.
Si continuava a guardare la tv e il monitor dei personal computer.
Fui l’unico a chiedermi cosa diavole fosse stata quell’enorme striscia gialla che si vedeva nel cielo e pareva erodere tutto il creato. Fui deriso. Arrivò mia sorella, poco più grande di me a dirmi che ero pazzo per prima. Avevo avuto le allucinazioni, ma non ne ero sicuro. Cos’era veramente successo non lo sapevo più.
Ero solo certo di aver vissuto un’allucinazione collettiva e di essere stato l’unico a ricordarmene.
Ricordo solo che quando iniziai a vedere le montagne che si aprivano e sparavano lava nel cielo non volli piu spaventarmi. Vedevo torce umane che correvano impazzite e me le tenevo per me. Non potevo più credere a quello che vedevo con gli occhi.
Anche mio padre vedeva qualcosa, glielo leggevo nello sguardo pietrificato ma non voleva crederci più. Pensai che ognuno ormai avesse le proprie allucinazioni e ciascuno se le teneva per conto suo, avendo paura di raccontarle. Ognuno era solo con la sua allucinazione. Pensavo alla bellezza e alla goffaggine di quegli attimi in cui eravamo tutti uniti.
Mi ritrovai vicino a mio padre sullo stesso balcone di prima. Fumava una sigaretta e guardava fuori, senza nemmeno voltarsi mi chiese : - cosa vedi? – . Era come se dal suo sguardo plumbeo volesse farmi capire che anche lui vedeva le stesse cose ma che dovevo far finta di niente, come tutti.
Io risposi : - Niente…non ha più importanza - .

Quella mattina mi svegliai in ritardo e sentivo soltanto che emanavo una forte puzza di whisky, e intorno polvere di una stanza trascurata, una lancinante emicrania, una fitta allo stomaco e tanta voglia di vomitare.