mercoledì 24 agosto 2011

Non mi importa molto dei grandi viaggi dei grandi sogni...

delle grandi storie...delle grandi passioni...

Mi sento più realizzato a

chiudermi nel cesso di casa mia

fumare e scrivere tre o quattro poesie.

Restare in mutande nella penombra,

magari leggere due stronzate sul giornale,

birra sul comodino.

Farmi una sega. Cacare.

Quello che c'è fuori non mi interessa.

giovedì 11 agosto 2011

Il fallimento di Cristo


È venuto ha parlato

ha detto tante cose belle

che non sono servite a un cazzo.

...

E' tornato è in tv

quest'anno è in offerta

con la familiare di

Coca Cola.

E' venuto ha parlato

ma il suo compleanno

è la festa dei drogati

dove per darsi animo

ci si fa il doppio

e in alcuni casi

si muore

se non si sopravvive

dopo il vomito.



La mia malattia

Credo di avere qualche malattia, ne sono sicuro. La rabbia e il bere mi stanno perforando lo stomaco, forse ho un’ulcera. Sto crepando.

“Quelli come te non hanno la minima speranza di cavarsela nella società” , aveva ragione mio padre. Vado in giro di notte come un pazzo per non vedermi gli occhi della gente addosso.

Se fossi una donna darei via la fica, invece così non posso neanche vendermi, non posso nemmeno dare via il culo. Mi chiama spesso la ragazza con cui sto o con la quale lei dice che io stia e mi dice di smetterla di bere, di smetterla di fumare, di smetterla in tutto, di calmarmi. Ma così non facilita le cose. Nessuno può interferire con il mio piccolo spazio alienato di solitudine alcolica notturna, perché me lo sono guadagnato. E’ il frutto dei miei fallimenti e delle mie miserie, dopo anni di fatica per togliermi dai coglioni l’un per cento delle persone che detesto e che mi danno fastidio almeno per poche ore al giorno. Non ho desideri di integrazione in tutto questo che mi circonda, preferisco stare nell’angolino scuro del globo dove il sistema antropoemico mi ha vomitato.

Sono in netta fase avanzata di accettazione del mio destino. Siedo al bancone come un buddista in meditazione spirituale, prove di annullamento dell’esistenza. E’ un mare velenoso e molto pericoloso da cui vogliono tirarmi fuori continuamente e da cui non voglio uscire.

Ho preso il vizio della risacca, vivo nella schiuma di birra del giorno dopo, nei postumi, nei cerchi alla testa incessanti che hanno fine solo nel momento in cui parte un’altra onda e poi “bam!” si ricrea altra schiuma per il giorno successivo, e così all’infinito. E’ questo il mio modo di partecipare alla follia collettiva di vivere.

Ricordo alcuni esempi illustri di vite che hanno attraversato per puro caso ( o forse no) la mia infanzia, gli anormali del paese, gli Antonii.

Il primo Antonio andava in giro per il paese in tondo nella pista del campo sportivo. Girava muto con la sua pancia da bevitore incallito e la faccia rossa erosa dall’alcool ragionando tra sé : ”…ma si quera puttana ri mamma e quiru strunzu ri papà so gghiuti a mett’a lu munnu unu com’a me…”. Nessuno capiva come ci si poteva ridurre cosi, nemmeno io, fino ad ora. La sua morte fu per arresto cardiaco, per strada.

Un altro Antonio invece urlava contro il farmacista che gli aveva fottuto i soldi delle medicine e contro il funzionario del comune che gli aveva fottuto la pensione sociale. Pretendeva rispetto, birra e sigarette in quantità. Aveva una tipica camminata “a pedalata di bicicletta” e una parlata strana che tendeva sempre al labiale. Era parte inconsapevole di un film muto. I ragazzini, stronzi, si divertivano a provocarlo per fargli bestemmiare la Madonna. Morì di freddo in un prefabbricato costruito dopo il terremoto del 1980.

Poi c’era il più filosofo degli Antonii che dispensava la sua saggezza e la sua esperienza con frasi ad effetto. Parlava canticchiando, era reso simpatico dal suo attaccamento al vino. Era l’unico caso di un pazzo riconosciuto furbo dal popolo forse per via della frase che diceva più spesso : “i mi fazzu li cazzi mii “, un po’ il motto del paesano medio. Fino a che non morì sfracellandosi contro un tir sulla statale Ofantina bis.

Nei vicoli del paese, quasi per nascondersi, c’era il ricchione, un quarantenne in tuta mimetica che non aspettava altro che arrivassero i ragazzini a fumarsi le sigarette di nascosto per provarci. C’era una donna anziana che la gente associava a una specie di strega, di janara o di masciara che andava in giro con una mantella scura e un corno per richiamare i suoi cani. Ci metteva paura e ci scacciava con le sue maledizioni, probabilmente a ragione, e aumentava il nostro senso di inconoscibilità di quei vicoli e quindi di scoperta dell’occulto. Il periodo della scoperta credo che finii proprio quando vedemmo la prima fica.

I bambini sono stronzi,la prima volta che restai solo fu perché i soli due amici che avevo avevano appena avuto in regalo la bicicletta e mi lasciarono per quella. Restai lì sulla breccia. Intuii per la prima volta che c’era qualcosa da pensare, qualcosa su cui riflettere ma non capivo cosa.

C’era sempre il pezzo di merda che si innalzava a capobanda e a tiranno e lo sfigato maltrattato e umiliato. Io cercavo di cavarmela a non farmi trascinare verso quelli maltrattati, purtroppo mi ci ritrovavo sempre insieme, erano i migliori amici che avevo. Fabio era uno di questi, mi ritrovavo spesso a parlare con lui. Molti dei suoi cappotti gli “amici” glieli buttavano nei bidoni della spazzatura. Una volta ci buttarono anche lui per intero. Me lo ritrovavo spesso attorno dopo scuola nel cortile in cui ci ritrovavamo, per me era il cortile di una prigione. Presto iniziarono a chiedermi perché parlavo tanto in privato con Fabio, dovevo liberarmene. L’occasione si presentò quando Fabio , che era un figlio di papà e uno snob, mi riprese con delle affermazioni spiacevoli. Non esitai a spaccargli il naso. Gli diedi un pugno con tutta la forza che avevo e lo lasciai cadere sull’asfalto nero col naso sanguinante e le lacrime. La cosa piacque a tutti gli altri, tanto che iniziarono quasi a festeggiarmi, infondo era quello che volevo, così lo lasciammo lì da solo, e a terra.

Quello che non avevo capito era che prima o poi avrebbero fatto lo stesso con me.

Le cose per me andavano davvero bene solo a scuola. La maestra leggeva sempre i miei temi davanti a tutti e gli altri mi rispettavano. Era fuori che iniziavano i problemi, perché i ragazzi più grandi riuscivano sempre ad avere la meglio su di me. Io li frequentavo però anche con una certa curiosità.

Avevamo una vecchia stanza dalle pareti ingiallite in mezzo ai vicoli dove ci riunivamo tutti quanti per fumare sigarette e canne, bere bottiglie rubate dalle credenze delle nostre famiglie, parlare di femmine e farci le seghe. Ci riunivamo lì anche per giocare a carte con le Peroni. La prima bottiglia di superalcolico che portai fu una di Bayles, poi un mio amico portò una bottiglia di Chivas e me ne innamorai. Un altro posto che frequentavamo era il deposito del sale antineve del comune, per gli stessi scopi. Eri uno di noi se nei capelli avevi sempre incastrati dei pezzi grossi di sale grezzo.

Di tanto in tanto uno di quei ragazzini chiamava una ragazza più grande di noi e la portava li per spogliarsi, farsi toccare la fica e fare sesso con quelli di noi che ne avevano il coraggio. La prima volta che mi avvicinai a lei fu per caso. Vidi che tre dei miei amici la tenevano al centro della stanza a gambe aperte. Mi chiamarono e con senso si sfida e mi invitarono a scoparla. Io mi avvicinai spavaldamente come se l’avessi fatto diecimila volte e mentre andai per baciarla le sputai in bocca, non sapevo baciare e avevo paura. La scoperta di quel buco che poi avrebbe finito per inghiottirmi risale a parecchio tempo dopo. Mi arrivò una telefonata da parte di Simone che mi invitava ad andare con Felice e Mario nella casa in costruzione del nostro quartiere per una spedizione punitiva con una ragazza al centro. Non potevo dire di no perciò fui dalla combriccola in meno di dieci minuti. La prima accortezza stava nel non farci vedere mentre entravamo nel cantiere, facile da superare. La seconda accortezza stava nel gestire bene la situazione. Appena entrati dentro Simone cacciò il pacchetto di Marlboro sorridendo e un po’ di erba. La casa era una di quelle storte, alte, solo cemento armato, si respirava la polvere. In fondo a una stanza, che probabilmente sarebbe in seguito stata adibita a cesso, c’erano Felice, Mario e Serena. Simone era in atteggiamento da leader ma nemmeno lui sapeva bene a quel punto cosa fare. Dovevamo scoparcela in tre o uno alla volta e chi per primo? E poi per quanto tempo?

L’idea geniale venne a me. – Ragazzi – dissi, - mi è stato appena regalato quest’ orologio al compleanno e guardate qua ! C’ha pure il cronometro! Facciamo dieci minuti ciascuno e poi nel caso vogliamo continuare ripetiamo il giro. Facciamo a tocco per stabilire l’ordine - .

-Si ma poi dieci minuti non sono troppi?-

-Secondo me sono pochi-

- Facciamo dieci minuti e poi se vogliamo continuare c’è sempre il giro successivo, possiamo utilizzare benissimo questo stanzino, Serena rimane qui e uno alla volta entriamo- .

Serena era lì che ci guardava e non capiva, era solo incuriosita dai nostri uccelli. Si iniziò, io ero il primo a dover entrare, la cosa un po’ mi agitava. Era abbastanza buio dove si era messa, era lì con i pantaloni abbassati e la mutandina bianca in vista. Me li abbassai anch’io poi la vidi mettersi in ginocchio, almeno lei sapeva cosa fare e lo fece.

Era difficile per me trovare una ragazzina che ci stesse veramente. Mi sentivo brutto, probabilmente lo ero. Mi sentivo strano perché non avevo fortuna. Mi sentivo solo e lo ero anche. Dicevano su di me tante cose e io non dicevo niente su di loro. Era davvero difficile farmi accettare, in qualsiasi contesto sembrava che il gruppo mi vomitasse, che potesse benissimo fare a meno di me in ogni cosa. Ero un soggetto anomalo. Semplicemente mi ero reso conto di essere soltanto una inutile merda per la prima volta e non riuscivo a comunicarlo agli altri. Scrivevo su dei quaderni tutte le cose che mi passavano in mente, e cercavo di tenere la cosa nascosta a tutti.

Dopo tutto mi sorprendo sempre di come la mia vita non mi abbia insegnato niente.

Ho capito solo che ogni cosa va all'inferno, e bisogna solo capire qual è il momento giusto per mandarcela, prima che sia troppo tardi.

Riconosco anche finalmente cosa vuol dire essere anormali : pensare che tutti, indistintamente, intorno a te, siano pazzi. E pensarlo pure a ragione.