sabato 30 gennaio 2010

Guardandosi attorno

Guardandosi attorno I vecchi non hanno capito un cazzo. A 70 anni, non solo il cervello perde neuroni, ma il vecchio cerca di prendersi una rivincita contro i giovani. Non vogliono assolutamente spostare il culo dalla loro poltrona, non vogliono dare spazio a chi, alla fine, questo mondo di merda lo erediterà e lo vivrà. Loro non lo vivranno. A loro non frega un cazzo dell’effetto serra, della guerra in Iraq, dell’inquinamento, e di tutte le cazzate che ci dicono. Vogliono soltanto morire sulla loro fottuta poltrona regale, con il culo al caldo. Occupano i posti del potere, occupano l’informazione, occupano tutto. I ragazzi stanno nei call center o a fare i camerieri.Questo non è un attacco alla terza età, ma un dato tangibile. Basta guardarsi intorno. I vecchi non vogliono decidersi a crepare. A quanti cazzo di anni vogliono arrivare? A mille? La natura dice che a un certo punto si muore! E così sia! La morte è l’unica cosa giusta della vita.Francamente, per quanto mi riguarda, non mi interessa diventare vecchio, vorrei morire prima.Il futuro che aspetta noi “under 80”, noi giovani, (come dice Vasco Brondi, “l’esercito del SERT”) non c’è. Molti di noi sanno di essere stati presi per il culo alla grande dalla tv, molti altri no. Tutti siamo cresciuti con i marchi delle pubblicità anni ’80 inculcate nel nostro cervello, di modo che pensiamo a consumare, più che a vivere. Si pensa anche molto di più a farsi le seghe che a fottere, probabilmente.Tornando a Vasco Brondi, “gli anni zero”. Sono i nostri anni. Gli anni sterili e insipidi. Non sappiamo più niente.Abbiamo visto le immagini dei mutilati di Sarajevo, i malformati di Chernobil, abbiamo mandato i nostri soldini dai cellulari in Kosovo. Fumo negli occhi.Ci hanno insegnato che l’11 settembre 2001 è stato progettato da un certo Osama Bin Laden dall’interno di una lurida caverna dell’Afganistan. Tutte menzogne. I servizi segreti americani sono stati i soli in grado di organizzarlo per creare una svolta epocale. La guerra infinita. Fabbriche che producono armi di continuo, e territori enormi da sottomettere e sfruttare. La crisi, ovvero la recessione americana, è iniziata da prima dell'11 settembre e un autoattacco di quelle proporzioni avrebbe ed ha generato non solo la scusa per fare una guerra, ma l'alleanza compatta di tutto l'occidente. Nelle tv italiane dicevano " Siamo tutti americani". Tutti americani, un cazzo! Qualsiasi cosa dice la tv è vera.Gli anni zero, sono gli anni del medioevo, dell’età di trapasso in cui ci tocca vivere. Noi non avremo figli, come i nostri padri e come i nostri nonni. Avremo la nostra dose di cocaina sul comodino.Si continua a morire di AIDS sempre di più ma non sappiamo più niente al riguardo. Non sappiamo che le case farmaceutiche hanno il vaccino in un cassetto, ma a loro conviene vendere vaccini per malattie inventate dalla televisione ai “ricchi” occidentali. Non potrebbero vendere il vaccino dell’AIDS ai milioni di africani che ci muoiono, dovrebbero regalarglielo, ma questa, è pura fantasia.Non sappiamo, o forse, la verità è che siamo distratti da altro. Dal culo delle “veline” nella vergognosa televisione italiana, da finti dibattiti politici, dalle partite di calcio, dalle luci colorate, dalle caramelle.Quando finirà il petrolio, il gas e il carbone, tra pochissimi anni, si tornerà a coltivare i campi e questo sarà un bene. Chissà forse si salverà anche il pianeta. Noi non di certo. O meglio si salveranno in pochi, solo quelli che sanno coltivarsi gli ortaggi e andare a caccia.Si salverà la gente che sta sulle montagne.Le multinazionali hanno comprati i nostri cervelli, i nostri culi e le nostre anime, ma quando sarà finito il materiale per farlo, saremo liberi. Vogliono costruire delle centrali nucleari dal costo di 25 mila miliardi di euro l'una, causando danni irreparabili all'ambiente. Una centrale nucleare una volta piazzata su un territorio segna la condanna del territorio stesso per l'eternità. I suoi effetti velenosi e mortali non spariranno mai più. Da un momento all'altro si rischia di fare -boom- e di saltare tutti per aria. Silvio Berlusconi, il premier italiano, ci ha pensato. E’ ormai da anni che, in preda ai suoi deliri di onnipotenza, si è fatto costruire un mausoleo, all’interno della sua villa di Arcore, pieno di simboli massonici ed esoterici, con i loculi dove inserire il suo corpo e quello delle persone che lo hanno accompagnato durante la vita. Il vecchiaccio ( perché è a questo genere di vecchi che mi riferisco), non vuole crepare. Vuole fare come i faraoni egizi, vuole sperare di vivere in eterno.Le parole in quest’epoca diventano sempre più vaporose. Le parole non sono più parole ma sono cazzate. Tutto è banalizzato e scambiato per sciocchezza.La Bibbia aveva ragione nel dire che il mondo esploderà un giorno, e aveva ancora ragione nel dire che quando ciò avverrà, noi scambieremo tale evento per una menzogna, per una idiozia cui non si può credere. Non crederemo nemmeno alle cose ovvie. Saremo increduli, né più né meno di quanto lo siamo ora.Le multinazionali hanno comprati i nostri cervelli, i nostri culi e le nostre anime, ma quando sarà finito il materiale per farlo, saremo liberi. Nei film della nostra epoca abbiamo visto ogni genere di calamità che potrebbe capitare al mondo, ma la realtà supera di gran lunga quattro puttanieri di Hollywood.

venerdì 22 gennaio 2010

Chiuso per ferie

Gente, il bar è chiuso per ferie.
Non c’è un altro luogo
dove andare a “scamparsi”.
Piove a scroscio e il telefono è occupato.
Siamo in balia delle intemperie.
Non c’è nessuna luce accesa nella notte,
nessun drink per spegnere i pensieri,
nessuna ipotetica persona da incontrare
e nessun barista con cui parlare.
I baristi di solito sono le persone con cui si parla più facilmente,
perché sono come dei traghettatori di anime.
Tu gli dai i soldi e loro ti danno l’alcool,
il mezzo di trasporto per l’altra dimensione,
la tua,
quella dove ti senti meglio.
Niente di tutto ciò.
C’è poco da ridere quando non c’è un cazzo da bere.
E non c'è un cazzo da dire.
Le campane suonano a morto e
il freddo diventa più pungente.
E la tua città diventa la tua anima
che somiglia sempre di più ad un posto dimenticato da Dio.

sopravvivenza

Cercare di non farsi ammazzare
tra compagnie telefoniche che ti rubano i soldi,
e stanze vuote
e televisori e sigarette accese
e bar vuoti.
Passeggiate per strade deserte,
con rifiuti sulla banchina
e palazzi abusivi.
In giro per supermercati
cercando liquori a poco prezzo,
comprando la spesa da congelare
e gente che non sa dove andare.
Tumori, inceneritori e
incidenti stradali
e brutti sogni che ti fanno addormentare.

venerdì 15 gennaio 2010

Barri barri, di preula in preula

Iniziammo il tour dei bar alle 7 di sera. Era una giornata autunnale tiepida. I primi due campari gin buttati giù come acqua fresca con Pasqualino che gridava – tutto pagato! Tutto pagato! – e passava immediatamente al prossimo giro. Lo sport del barri barri. Del calcio non ce ne fregava un cazzo.
Pasqualino era il tutore e primo usufruitore delle” preule”, detti volgarmente bar, di Nusco. Se una notte capita un black out e c’è mezzo metro di neve, e ti sei perso e stai pure a piedi, con Pasqualino sei certo di trovare il bar più vicino grazie al suo infallibile fiuto. Faresti quattro passi e poi urlerebbe – Ra qua! Ra qua! Sentu addoru ri birra! -. Esperto di tavolini e “patronu e sotta”, nella sua vita aveva speso almeno 250 000 euro per le puttane.
Quella sera mi vide al bar che bevevo un whisky. Avevo appena finito di litigare con la mia ragazza. Si avvicinò chiedendomi i miei programmi per la serata. Io non ne avevo, ma per farlo contento iniziai a balbettare qualcosa. Pasqualino era sempre agitato.
Iniziò ad urlare – Tutto sballato! Tutto completamente sballato! -; - Innanzittutto votta sta schifezza!-, e ordinò l’aperitivo.
-Tutto pagato! Tutto pagato! –.
Successivamente un altro bar e poi un altro ancora, come per andare a trovare dei parenti. E’ così che prevalentemente si passano le giornate con Pasqualino. Si beve, ci si irrita, si bestemmia. L’unica lingua che si usa è il dialetto nuscano stretto. Incomprensibile a gran parte dell’Italia, ma anche della provincia di Avellino stessa.
Quando perdemmo il conto dei giri, dei soldi rimasti in tasca e il lume della ragione(ammesso che l’avessimo mai avuto), ci venne la brillante idea.
-Andiamo al night! –
-No, Pasqualì, sto senza soldi –
-Scemo! E’ tutto pagato! Tengo la carta di credito!-
-Bhe si potrebbe pure fare, ma come facciamo co’ Peppe? –
-viene pure lui – .

Peppe era in un angolo che rideva, ubriaco pure lui, forse perché al night con Pasqualino già ci era stato e chissà che cazzo era successo.
-Prima di partire però n’ata birra! –
Prima di metterci in macchina una bella doppio malto ci voleva per entrare nella situazione.
Ci mettemmo in macchina, che si era fatta l’una e mezza di notte. Arrivati al primo incrocio, decidemmo di andare per una via interpoderale per evitare i posti di blocco. Scendemmo per contrada Sparanielli per passare poi per contrada Ofanto e infine arrivare a destinazione, a Lioni. L’alcool in circolazione era troppo, tanto che sbagliai via tre o quattro volte. Rimanemmo per circa mezz’ora a girare in tondo intorno all’Ofanto. Tutti sforzi inutili.
La prima macchina che vedemmo entrando a Lioni fu quella dei carabinieri. Il maresciallo alzò la paletta e ci fece accostare.
-Pasqualì, ammu pazziatu!- dissi nervosamente.
Mi disse tutta la trafila solita, patente, libretto e se avevo bevuto. Ovviamente dissi che non avevo bevuto. Se avessi soffiato nel palloncino mi avrebbero ricoverato in ospedale e solo in un secondo momento arrestato. Quindi tenni a mente Cicerone : Memento negare semper. Grande cazzata. Il maresciallo mi invitò a fare il test dell’etilometro.
Rassegnato mi accingevo a soffiare in quel fottutissimo palloncino ma stavo per vomitare. Chiesi un favore al maresciallo, se potevo rientrare un momento nella mia macchina. Mi misi a bordo, aprii una busta di plastica e ci vomitai dentro.
Al mio ritorno, il maresciallo aveva messo via il palloncino e Pasqualino continuava a mostrargli tesserini e carte di credito. Il carabiniere mi chiese se avessi parlato al cellulare con la mia ragazza mentre ero in macchina. Gli dissi prontamente di si.
-Bhe ragazzi, andate e buona serata-.
-Buona serata a lei, maresciallo-. Non avevo bisogno di altre spiegazioni. Le spiegazioni non servono a un cazzo. Volevo solo togliermeli dai piedi.
Quando rientrammo in macchina, procedemmo spediti verso il night. Solo dopo qualche minuto chiesi a Pasqualino :
- Bhe, è allora?? Vuoi dire qualcosa? Che cazzo gli hai detto al maresciallo? -.
-Che tua madre è morta e la tua ragazza ti ha lasciato, tu sei malato di cuore e ti stavo portando al night a farti vedere un po’ di fica!-
-Ma porca puttana, dovevi andarci per forza così pesante!? Non so come cazzo ha fatto a crederci –
-Nun ci pensà…-.
La mia macchina era un traghetto della speranza, una barchetta di carta in mezzo ad un oceano di merda, che io stavo guidando con molta leggerezza, non pensando al fatto che potevo sbriciolarmi con essa da un momento all’altro.
Arrivammo al night ed era “chiuso per ferie”. Quindi si decise di andare ad un altro, che si trovava qualche chilometro più sopra.
All’entrata del night di nuovo documenti, patente, ecc. Pasqualino diede 50 euro al buttafuori e ci evitammo la trafila di identificazione. Dentro la sala c’erano 5-6 mignotte che danzavano. Polacche, Rumene, Marocchine, Albanesi. Una di esse mi mise subito una mano sul pacco e mi disse delle porcate all’orecchio. Ma era una vecchia cessa. Un bidone. La evitai.
Pasqualino mi ricordò che aveva la carta di credito e potevo scoparmi chi volevo. Bell’affare. Anche lì al bancone a bere. La storia è circolare. Il locale, piuttosto grande, era pieno di poltroncine e divanetti e aveva due stanze per fare il privè.
Il mio compagno di sbronze versandomi da bere un altro spumantino mi presentò una mignotta. Era sulla cinquantina, grassoccia, consumata, che masticava una gomma.
-Questa è una mia amica di infanzia! Si chiama Caterina , con 50 euro non sai che ti fa - .
La tipa iniziò immediatamente a strusciare la gamba sul mio cazzo accendendosi come un interruttore. La lasciai perdere. Pasqualino andò a sedersi con una mulatta, offrendogli 200 euro di champagne e io in un altro angolo scrutavo la situazione. Tra tutte quelle mignotte ne vidi una che mi incuriosì. Andai a sedermi in un angolo con lei, le offrii da bere champagne. Era mulatta, di origine marocchina, altissima, col culo che non si conteneva nelle mutande. Ci mettemmo a parlare di cazzate.
Alle 4 del mattino, arrivò una chiamata a Pasqualino. Suo fratello, che viveva con lui, aveva dato fuoco alla casa per sbaglio. Uscimmo fuori dal night scrollandoci da dosso quelle mignotte, che tanto mignotte non erano in confronto a ragazze che si vedono nei bar, e prendemmo la via del ritorno. Tornatevene a casa uccellini, e state attenti ai vostri bambini. Lui verso una casa in fiamme , io verso una notte in cui avrei dormito in macchina.

martedì 12 gennaio 2010

Il dimenticato

Sono le 9:30 di mattina, stavo nel mio mondo di ferraglie, polvere, raggi di sole polverosi, vecchi mobili e scaffali, cataste di libri ammuffiti , scatole ben riposte nell’angolo…odore di polvere e muffa, in una mansarda precisamente, con una finestrella di alluminio opaca, e ci guardo attraverso di tanto in tanto, per vedere cosa c'è al di fuori...quel mondo così stronzo e merdoso che mi ha relegato qui, che ha fatto di me un rinchiuso. E’ una mattina di merda, da crampi allo stomaco.
Mi distendo , guardo il muro, ho la testa pesante, non so più dove sono e perchè, nessuno spazio di riferimento REALE, - dove sono e perchè, dove sono e perchè - questa gente che passa giù dalla finestra, non so cosa fanno, perchè , non so...ma cosa ci faccio, e Dio? Dio fa paura...Dio non so...ti butta in questo cesso di mondo e ti fa vivere...spietato...tutto è troppo vasto, non vedo direzioni REALI, vorrei che si spegnesse...che si spegnesse...rimugino e penso…
Insomma deliro a prima mattina, come al solito, sto relegato qua dentro, nel mio inferno personale, il mondo non mi vuole, ma forse il mondo non vuole nessuno, siamo come dei virus per il mondo, tante merde danzanti che inquinano il mondo...
D'improvviso apro gli occhi, squilla lo stronzo del cellulare, vaffanculo, lo spengo, distendo il braccio e prendo la bottiglia di vino, buon vino rosso economico di Montepulciano, tiro una grande sorsata, ma ho lo stomaco a pezzi per il troppo alcool e vomito a terra...sudore alla fronte e ancora conati di vomito. Monica avrebbe potuto scrivermi, avrebbe potuto, già...ma si che me ne fotte...sono vecchio e stanco, sto su questo materasso come un sacco di merda...Io...sopravvivo con una pensione di 200 euro mensili che mi consente di tenermi in vita fisicamente e questi stronzi fuori a comprarsi vestiti, macchine e a fare figli… sono matti?? perchè cazzo fanno figli? Io non ne vorrò mai…
Conto i miei oggetti arrugginiti, la ruggine sta mangiando me per primo, vecchi orologi, catenine, medaglie, vecchie lettere, la casa è ridotta un cesso, tutte queste cose sono destinate alla discarica e mi ricordano la mia vita, queste lacerazioni sul mio corpo anche. Sto qua che aspetto di morire, e forse anche loro non vedono l’ora che questo sacco di spazzatura muoia e non intristisca più il paesaggio. Infatti sto chiuso qua dentro finchè non mi porteranno via al cimitero o prima ancora in una clinica di matti. Ho sempre vissuto in un paese di 1500 abitanti, un paese morto, abbandonato da Dio. La guerra mi ha portato via un figlio e l’uso delle gambe, ho divorziato con mia moglie, sono caduto in depressione e ho preso psicofarmaci per dormire, adesso i ragazzini per strada mi prendono in giro perché per i paesani sono un vecchio pazzo, storpio, fallito e alcolizzato. A certi giorni non si dovrebbe sopravvivere, certe situazioni poi richiedono che non si vada avanti, invece si va avanti lo stesso! Così quando mi faranno il funerale in paese non ci sarà nessuno, e qualcuno tirerà un sospiro di sollievo perché si è tolto questa brutta faccia triste davanti o avrà qualche stupido rimorso, ma io non voglio nemmeno i fiori sulla mia tomba!

venerdì 1 gennaio 2010

Il fantasma del cinema porno

Il fantasma del cinema porno

Un tempo abitavo a Napoli, a Rua Catalana, prima ero stato per un paio d’anni a Forcella, poi avevo cambiato zona, stanco di quella piccola casbah fetida. I vicoli putrefatti e pieni di immondizia non erano esattamente quello che avevo sperato per me. La gente che usciva dalle case fatiscenti con cannottiera e zoccoli ai piedi. Un tossico di piazza del Gesù, soprannominato zi Ernesto,una volta mi disse la cosa più saggia che puoi sentirti dire da quelle parti.
-Cosa saresti tu, studente??-
-Qua o rubi, o ti droghi o muori-.
I miei coinquilini spacciavano cocaina e vendevano telefonini rubati. Guardavano 10 ore di televisione al giorno e parlavano un dialetto quasi incomprensibile. Il loro passatempo era rendere la vita un inferno a me e all'altro disgraziato che viveva in quella casa. I soprannomi che gli avevo dato erano “il verme” e “il topo di fogna”, perché gli si addicevano. Di lì a due anni avrei lasciato anche la città. Nell’altra casa invece, avevo una stanzetta in cui stava cadendo la controsoffitatura e si sentivano i piccioni che si muovevano sopra, che cacavano e che scopavano. Un altro problema era che c’era un’invasione di scarafaggi neri e rossi enormi che uscivano dalla doccia, dal lavandino e dal cesso. Condividevo la stanza con un fascista, ex carabiniere, che si portava parecchie ragazze diverse a scopare in camera. La prima cosa che mi disse quando entrai in casa per la prima volta fu :- sei frocio? vai coi trans? perchè in questa casa non si tollerano queste schifezze-. Spesso si ammirava allo specchio con i suoi perizomi rosa, rossi, fucsia. Vivevamo del tutto separati, non ci scambiavamo che poche parole alla settimana. Una volta però lo aiutai a portare un materasso in un altro appartamento e parlammo un po’, e scoprii anche che non era infondo così male. Arrivammo al quinto piano di un palazzo dei quartieri spagnoli a prendere quel fottuto materasso, e a un certo punto si affacciò alla finestra e mi disse :
- Guarda –
– Napoli è una fogna, ma è bella-.

In generale, comunque, non avevo amici, non sapevo con chi uscire, dove andare e cosa fare. Quindi la sera o anche il pomeriggio non andavo a ballare, né andavo in piazza a passeggiare, né al bar, né davanti al centro sociale dai soliti tossici “comunisti”. Non andavo nemmeno a puttane, andavo al cinema porno. Mi infilavo nei vicoli di quella città scura, sporca, puzzolente e pericolosa. Pagavo il biglietto di soli 3 euro che bastava per tutta la giornata. Era un cinema porno nei sotterranei, formato da cunicoli e antri bui. Era l’unico posto dove riuscivo a rilassarmi.

Così ogni volta da solo scendevo le scalette e mi inoltravo all’interno di quel mondo. Puttane, froci, transessuali, ragazzini rumeni che si vendevano il culo, vecchi malati di mente giravano per la sala scura che non si vedeva a un passo. Nella stanza adiacente c’erano i cessi, incrostati e marroni, che puzzavano di piscio fino a farti vomitare, pieno di cicche di sigarette e di preservativi usati. Chissà chi lì dentro stava facendo una pompa. In un’altra stanza c’era il televisore acceso che trasmetteva un altro porno, e l’unica luce era quella della tv. Un vecchio si stava facendo una sega, una vecchia puttana era in fondo a quella stanza vicino al distributore di aranciate e snack, seduto su una sedia di plastica. Tutti fumavano. Erano come anime perse vaganti per i gironi dell’inferno, in quel mondo sotterraneo dove erano loro stessi, e venivano fuori per quanto erano perversi. C’era puzza di vecchi e di vecchiaia, di peli di culo, di cazzo, di piscio, di tabacco e di AIDS. Continuavano a muoversi agli angoli e strisciando sui muri a passi brevi, alcuni si accoppiavano anche sulle sedie della sala con lo schermo gigante. Io ero seduto sulla mia sedia maleodorante di panni sporchi, guardavo il film e fumavo. Mi passò vicino un vecchio grasso, tozzo, basso e calvo con gli occhiali e si presentò. Mi disse: -sono un professore dell’università, ti posso fare una pompa?-. La mia espressione disgustata fece in modo che mi risparmiai di mandarlo a fanculo. Il professore della mia università, la Federico II, lì dentro era solo un pompinaro. Una delle tante anime dannate.
Un giorno mi venne vicino un uomo sui trenta e prima che potessi muovermi mi mise una mano tra i coglioni. Io continuavo a pensare alle mie cose, alla mia stanzetta fetida, all’università, ai deviti da pagare in giro, eccetera. Mi curai talmente poco di lui che lo lasciai fare, così iniziò a farmi una sega, dopo un po’ lo prese anche in bocca. Un altro uomo dall’altro lato guardava la scena e tentava di avvicinarsi ma io lo scansavo, poi ne arrivò un terzo, e in un lampo mi trovai che me lo stavano succhiando in due. La cosa faceva un po’ schifo. Erano due ombre anonime e perdute che mi leccavano la cappella.
D’un tratto si sentì uno sparo e delle urla provenienti dal cesso. Un nero e un vecchietto uscire di corsa verso l’uscita del cinema. Ci fu qualche secondo di panico. Pareva di essere dei minatori, in una miniera che stesse per crollare, in trappola. Volevamo uscire. I trans sembravano delle grandi mamme preoccupate, i froci gridavano come delle femminelle impazzite, i vecchietti continuavano a sputare ed erano i più calmi.
I due tipi che me lo stavano leccando si dileguarono come delle ombre nell’oscurità e nel panico. Rimasi col cazzo moscio in mano, e finii di farmi la sega. Una sega è una cosa che và portate a termine. Una volta finito mi pulii con un fazzoletto, lo buttai a terra e iniziai a guardarmi intorno.
Era successo che un vecchio si era portato un nero nel cesso per fargli una pompa e il nero, lì dentro, aveva cercato di rapinarlo. Il vecchio aveva aperto la porta e si era messo dato alla fuga, e il nero si era messo a sparargli contro. Il vecchio si era dileguato. Ora rimaneva il nero nella hall del cinema che sparava alla cieca e spaccava ogni cosa. La polizia arrivò dopo 10 minuti, chiuse le porte del cinema con noi dentro e riuscì a bloccare il nero.
Lentamente iniziarono ad uscire tutti, puttane e trans, froci, vecchi, alla luce del sole. Fuori sembravano tutti persone normali, magari un po’ disgraziate. Mi chiedevo come mai non si potessero riconoscere in mezzo al trambusto della città, e se fossero meno anonimi fuori o dentro il cinema.
Uscivamo tutti, come cani bastonati e un po’ colpevoli di fronte alle forze dell’ordine. Iniziai a pensare che se non mi era ancora venuta l’aids o l’epatite e non ero ancora stato sparato da un nero, forse aveva qualche possibilità di cavarmela fuori da quel buco. Avrei potuto cambiare abitudini, anche se non sapevo cos’altro fare, come sostituire il cinema nel tempo libero. L’unico altro pomeriggio di tregua era quello in cui andavo a suonare a fuori grotta, io con una fender stratocaster e gli altri con le gibson semiacustiche a tentare di fare jazz. E le serate di tregua in un locale al vomero, l’Around Midnight, a suonare e ad ascoltare gli allievi della scuola di musica. Il mio maestro di musica mi insegnò più cose sul piano personale ed emotivo che sulla chitarra.
Avrei dovuto trovare qualcos’altro ancora, ma avevo appena aggiunto un altro tassello alla mia conoscenza del muro che la gente si piazza davanti fuori dai cinema porno, alla luce del sole. Ero un fantasma che si muoveva al buio lì dentro, e fuori una nullità.