lunedì 26 luglio 2010

TORNARE A CASA

Si era appena laureato Domenico. Organizzammo una festa in un boschetto di Penta. Il pomeriggio fu speso a suonare blues psichedelici con le chitarre e tra i soliti aperitivi che duravano quattro ore.

Pensavamo a fare la brace per le salsicce ma ancora prima alle chitarre e al vino. Era un bel boschetto in cima ad un fiume, tanta bella gente, tutti amici, tutti infondo estranei, due o tre ragazze anche interessanti. Qualche gran puttana che arrivava in ritardo o non arrivava affatto.

Vino e pacche sulle spalle, e si iniziò a suonare. Una ragazza mi si avvicinò e iniziò a parlarmi di questioni riguardanti l’università cui poco riuscivo a badare. Intanto qualcuno mi chiamò – Ehi, Capone, vienici a suonare qualcosa!! Una delle tue !! -, voleva dessi un po’ di spettacolo. Va bene, mi sedetti sulla panchina di legno con recinzione, di fianco alla scritta COMUNITA’ MONTANA impressa su un muro di cemento. Dovetti ricordarmi il mio repertorio velocemente, odiavo suonare la chitarra a richiesta. Ciascuno mi chiedeva di fare una canzone diversa, parte delle quali a me ignote. Propesi per suonare “Il ballo di San Vito”. La chitarra iniziò a vibrare e gli ubriachi attorno cantavano, Marco prese a cantare barcollando e appoggiandosi allo steccato, d’un tratto si sentì una botta, la staccionata si spaccò e Marco scomparì precipitando, inghiottito giù nel burrone del fiume a culo all’insù. Feci smettere di vibrare la chitarra. Gli occhi di tutti quanti erano diretti al fiume, c’era chi se lo immaginava già spappolato con le ossa rotte su qualche roccia, invece era caduto su un muretto di cemento armato ad appena mezzo metro sotto. Si rialzò subito in piedi con un sorriso ebete, e si dette una spolverata. Ripresi subito a suonare e via, era già pronto un bicchiere di vino nuovo per Marco. Era il segno del fatto che eravamo un branco di coglioni. Alcune ragazze assistevano infastidite alla scena. Finì il pezzo, e riprese da capo. Avevano tutte voglia di scopare ma non erano disposte a darla via per un ubriaco o per un idiota.

Una mi chiese se avessi paura di vomitare, io le risposi che la mia unica paura era legata al fatto che gli sbirri mi ritirassero la patente, non stavo bevendo nemmeno più del solito tutto sommato.

Era verso l’una quando le luci dei lampioni si spensero e ci ritrovammo al buio. Il festeggiato si mise in piedi sul tavolo e urlò:

Tra un po’ arriva il sindaco e ci dice che siamo la rovina di questa città! Che schifo! -.

Era una battuta ma anche una verità tragicomica. I tossici, gli ubriachi, la gente della notte deve soccombere per forza, in un modo o nell’altro, per mano della gente per bene che produce consuma e ha voglia di lavorare.

Si sparpagliarono tutti in fretta, come cacciati fuori dalle autorità e iniziarono ad andare via. Caricai l’immondizia nella mia macchina e insieme a lei salìrono a bordo Marco, Domenico e Laura, la destinazione era la prima bettola aperta per continuare ad ubriacarsi.

Ho la memoria corta per le serate ubriache, ma ricordo che guidando in un modo o nell’altro arrivammo al bar di un noto pezzo di merda della zona, a Mercato San Severino. Ci fermammo prima lungo una piazzola di sosta e scaricammo tutta l’immondizia sotto il segnale –Divieto di scarico rifiuti -, e Marco tirò anche una pisciata. Arrivati davanti al bar, Marco scese di scatto e diventò irascibile, mi arrivò un pugno nello stomaco, io gliene diedi al volo uno sul braccio. Non aveva senso, così smettemmo subito.

Entrati tutti nel bar mi defilai, mi aggrappai distrutto e sferrai un cazzotto sul bancone. Si tornava sempre al bar, era un dolce ritorno a casa tornare in una stupida bettola di periferia.

-Ehi tu, smettila subito ! – Si avvicinò a me un ciccione, alto due metri, con una catena d’oro al collo, maglietta nera aderente, abbronzato e coi capelli neri rasati.

-Che c’è che non và amico? –

-I pugni sul bancone, qui c’è gente che lavora, abbi rispetto! .-

- Certo…certo…io rispetto chi lavora…- e mi uscì un rutto, che doveva puzzare abbastanza.

-Pagliacci, buffoni, tossici di merda….-.

Fu lì che entrò in scena di nuovo Marco : - Ma che cazzo volete da noi, sono le bettole come le vostre che ci riducono così!! Voi ci vendete l’alcool e noi diventiamo degli alcolizzati! .-

- E smettila Marco altrimenti qui non ci fanno bere più! -. Lo portai fuori, fumiamoci una sigaretta!

–Da questo bar ci hanno cacciato fuori già tre volte ! –

-Si, si…ma sono amici miei…li conosco da una vita…vedrai…vedrai che ci fanno bere –

-Certo… come no! Col cazzo!-

Rientrai composto nel bar. Mi detti finanche un’aggiustatina alla camicia sporca di vino e chiesi cortesemente alla cassa un campari con gin.

-No..no…per voi solo caffè o cappuccino! –

Io replicai : – un campari con gin – pensavo non avesse capito bene.

-Per voi solo caffè o cappuccino, non c’è altro! – ribattè ad alta voce. –Andatevene in un altro bar, anzi! -.

-Ok, certo, vado in un altro bar, sai quanti ce ne stanno, mica ci state solo voi, vado in un altro schifo di bar !!! –

Uscii fuori urlando agli altri che mi aspettavano fumando : - Ragazzi andiamocene in un altro bar! Andiamo in un bar normale, dove danno da bere ai clienti!!! .

Si sentì un rumore di porta aperta velocemente, dall’uscio spuntare il ciccione accompagnato da un tipo più basso e tarchiato - Uè! Mo basta, venite qua! -.

Mi sentii solo prendere per il collo , ricevere un forte colpo dietro alla nuca, poi due schiaffi, infine un terzo prendermi per un braccio e un altro colpirmi alla schiena col bastone. – Ora, tu, fottuto drogato, entri nel bar e stai buono fino a che non arriva la polizia ! –

-Manco per il cazzo! Non ci penso nemmeno! .- Mi scaraventarono a terra, riuscii a svincolarmi mentre iniziarono a percuotere Marco, o Antonio o Michele, o uno degli altri che erano arrivati poco prima. Strisciai a terra sul marciapiede sanguinando da un orecchio, mi misi a correre verso un vicolo fino a che non trovai un posto sicuro, vicino a un tombino. Restai lì a fumarmi il tabacco. Pensavo al fatto che non volevo farmi ritirare la patente e arrestare da due imbecilli di poliziotti per colpa di un campari-gin! Tornai calmo, era passata circa mezz’ora e decisi di tornare alla macchina. Nello spiazzale del bar c’erano solo Marco, Domenico e Laura, gli altri erano dentro a fare a botte.

-Io prendo la macchina e me ne vado, chi vuole venire? –

-Io resto qua!! Non tentare di smuovermi! – urlò Marco.

-E restaci, chi se ne frega! – Domenico e Laura invece salirono. Salimmo a bordo, misi in moto ma Domenico voleva recuperare Marco. – Porca miseria…va bene, ma piglialo a schiaffi subito e portalo dentro - . Agivo come il poliziotto di me stesso. In quel periodo l’importante era tornare sano e salvo a casa ogni sera, e non mi fregava d’ altro, anche a costo di dover pestare qualcuno. Li vidi tornare dopo cinque minuti, Marco col sangue dal naso entrò per primo in macchina, piangendo e disperandosi : - ma perché??...perchè???-.

-Perché cosa?? Andiamocene e vaffanculo!!! -.

-Capò, Marco non riesce a sopportare il peso delle ingiustizie, tu si – disse Domenico.

Le ingiustizie, io ci ero abituato, ci ero nato, ci ero cresciuto, pasciuto ed ero già anche rimasto fottuto.

Tornammo alla base , nel barrio che poi così tanto barrio non era. Domenico e Laura se ne andarono a scopare a casa mia, semivuota per l’immimente sfratto, io e Marco trovammo invece un panificio aperto. Era una stanzetta dove quattro uomini facevano il pane, e alle cinque del mattino si mettevano in viaggio per portarlo in alcune panetterie di Salerno. Lì era un posto tranquillo, eravamo solamente noi a non esserlo. Mentre entravamo vidi Marco inciampare e cadermi addosso trascinandomi verso il pavimento, fortuna che c’era un sacco di farina sul quale atterrammo morbidi.

Ci guardammo in faccia, avevamo delle facce tremende, poi arrivò qualcuno che disse: -Siete proprio dei tipi da fumetti uagliù – . Era ‘Mbogie che era appena entrato nel panificio per farsi fare una bruschetta. Uno degli uomini che lavorava prese un secchio pieno di salsa di pomodoro, qualche mozzarella dal frigo e iniziò a prepararla. La presi anche io, ottima. Pane fresco di prima mattina su lividi lungo tutto il corpo e con lo stomaco e la mente ammaccati e offuscati dall’alcool. Presi anche un cartone di birra dal frigorifero, detti all’uomo 7 euro e uscimmo fuori. Il panettiere ci seguì, ma no, stavolta non ci volevano arrestare. Rimanemmo lì fino alle cinque e mezza a parlare di quanto era pieno di gente schifosa il mondo e del fatto che gli avevano appena bucato una ruota del furgone. Quei discorsi a cui eravamo avvezzi nella panetteria di Penta, mangiando una bruschetta.

Il proprietario del panificio si chiamava Giovanni, ci disse : -Ragazzi io tra poco devo andare a portare il pane a Salerno - .

-Ci troviamo perfettamente con gli orari, per questo mi piace questo posto, perché gode del tempismo necessario e vive di notte.-

Prima che partissero li aiutai anche a cambiare la ruota. – Vedete, ragazzi, è pieno di gente di merda…un giorno tocco a voi e un altro giorno pure a noi…statev’ bbuon’ -.

Io e Marco rimanemmo ancora là, a guardare un albero attraverso il quale si vedeva il cielo e mi chiedevo perché se infondo l’albero e il cielo non avevano niente che non andasse ed erano perfetti, non appena calassi lo sguardo di 90 gradi dovessi vedere un continuo luridume.

Alla fine ci decidemmo ad andarcene – Rimaniamo che andiamo a prenderci un ultimo caffè al bar sotto casa mia e ci salutiamo –

-Ok- rispose Marco.

E non ci vedemmo più. Forse il mio compagnò finì col motorino contro qualche palo.

Tornai a casa, salii le scale, entrai nella mia stanza adiacente a quella dove stavano scopando e mi buttai sul letto: era scomodo. Mi feci cadere a terra dal letto a peso morto e dormii sul pavimento, polveroso, fresco.