giovedì 24 dicembre 2009

IRPINIA PARANOICA

IRPINIA PARANOICA



""Se non ci sono slot machine,
se non c'è un televisore acceso con la partita,
se nessuno gioca a carte,
se non c'è puzza di birra,
se nessuno bestemmia...
non sei a Nusco"

L. Capone





Voglio vivere in questa monnezza perché tanto c’è sempre una bettola a pochi metri, dove ubriacarsi per non vedersi allo specchio, e dove ubriacarsi per non vedere gli altri. Quando mi ubriaco sono l’uomo invisibile. E’ bello andarsene, anche in senso metafisico, perché ciò contempla anche un ritorno.
Andarsene dal "carcere senza porte". I paesani sono quelli che gufano, che si sentono continuamente derubati, che ti spiano da dietro gli angoli, che parlano sottovoce, avvelenati e striscianti come delle serpi. Accaniti come i lupi per sbranarsi un pezzo di carne, e sempre prostrati ai potenti di turno, e alle forze dell'ordine. Sovente provo a sparire e ci riesco.
Quando me ne vado e sto da solo, mi capita di svegliarmi in letti sporchi di sangue mestruale, alle 5 del pomeriggio, gonfio di alcool e droga, in mezzo alla mia merda, con le mosche che mi girano intorno, perché pensavano fossi morto.
Spesso mi chiedo perché sono fatto così.
Sono noioso. le persone che si annoiano sono sempre noiose, e non sono nemmeno alla moda. e sono vecchio.
Sto bene, sto male, non so dove stare, non so come stare, non so cosa fare. Sono paranoico, depresso, perplesso, spaventato dalla gente, diciamo che sono morto.
La verità è che sono un giovane-vecchio, mi ci sono sempre sentito, infondo. Io sono cresciuto tra i vecchi. Da bambino trascorrevo le mie giornate seduto su uno sgabello verde di legno nel circolo dei pensionati del paese, perché già allora le giornate erano lunghe, pesanti e tediose. Tra odore acre di mazzi di carte, di Peroni e nazionali senza filtro. All’ombra delle sputacchiere, dei muri ingialliti, delle travi di legno ammuffite che sorreggevano il soffitto, e cessi gialli. Argomenti di calcio e di politica, televisori accesi su novantesimo minuto e sulle partite della domenica. Tra dicerie popolari, personaggi singolari, scenette da teatro. Già da bambino, avevo troppi ricordi. Zi Chiò chiò ad esempio era stato quarant’anni in America, ed era tornato pieno di storie da raccontare. Era stato presente allo sbarco degli americani a Napoli. Aveva mangiato le banane con la buccia mentre gli americani le scaricavano come aiuti umanitari, ed era stato portato al pronto soccorso.
Mi hanno sempre raccontato la scenetta che vi era lì una volta, in piazza De Sanctis. Dov’era il bar Italia, il locale gestito dal “commendatore”, che tale non era ma si faceva chiamare così, “commendatore del lavoro”. Passava dall’imitazione di Mussolini ad affibiare nomignoli a tutti i paesani. A ognuno il suo, messo ad arte, che sopravvive ancora oggi per i loro figli e per i loro nipoti. Dava i nomi a tutte i tipi di caramelle che vendeva, il caffè che faceva era pessimo ma sulla macchinetta c’era un cartello con la scritta “la dolce fonte”. Passava alla storia per le sue parlate divertenti e proverbiali. Era uno di quei posti dove la gente si raccoglieva anche per guardare la tv, come se fosse più di un cinema. Dal modo in cui me lo raccontavano traspariva tutta la nostalgia di quei tempi senza troppe ricchezze ma perduti. Mi fanno pensare che non avrei mai voluto vivere nemmeno allora, nonostante forse la loro anima non era perduta come la nostra.
Il mio nonno materno era “scarparo”, e il mio nonno paterno aveva un caseificio. Il primo aveva combattuto la seconda guerra mondiale,ed era stato prigioniero in Germania. Era quello che mi dava consigli mentre mi portava a scuola. Morì scambiando un infarto con un mal di pancia. Il secondo andava in giro con una pistola in tasca, nonostante fosse anche aiutato dalla sua stazza a incutere timore. Era sulla via di Lacedonia, quando un furgone davanti gli rallentò il passo. Cacciò la pistola fuori dal finestrino e sparò. Gli bucò una gomma, il furgone finì nella cunetta e mio nonno potè passare agevolmente col suo carico di latticini. Quello che ricordo meglio di lui è che mi dava le diecimila lire, quei pezzi di carta blu. Morì a Marsiglia, per problemi di cuore anche lui.


Le cose comunque sono cambiate in paese. La mia non più la generazione di quei vecchi. Oggi tutti se ne vanno lo stesso ma rinnegano e maledicono le proprie origini, di cui infondo si vergognano. Quando tornano dal nord, mettono in evidenza il loro distacco nei confronti di questa realtà sotto culturale che viviamo, e non sei più un cazzo. Anche pochi mesi fuori possono segnare un grande distacco dalle proprie origini,dalla propria famiglia e dai propri amici. Mentre ricordo che una volta, nel circolo dei pensionati, si vide arrivare un vecchietto da lontano, da dietro la cattedrale. Era uno del paese, nato qui. Era stato almeno quarant’anni in Belgio o in America, non ricordo, ed era tornato per la prima volta. Quando arrivò davanti al bar, che nel frattempo era diventato tabacchino, riconobbe il suo posto e gli altri lo riconobbero. Niente lamenti, niente scene strazianti, niente parole inutili. Sembrava che fosse sempre stato lì. Lo accolsero con un –ciao, come stai?-. Si sedettero a tavolo e bevvero e giocarono a carte, come sempre. Nonostante avessero vissuto un’altra vita nel frattempo, e le loro famiglie forse non esistevano più ed erano invecchiati. La dignità era forte, ed era forte la consapevolezza che la vita infondo non meritava tanti sbattimenti e commiserazioni.
Ora non c’è nessuno, ma il vuoto si avverte. Non c’è nessuno nel raggio di chilometri. Soffia forte il vento e spero che si porti via me e questo dannato posto. In questo locale ci sono solo io, nemmeno il proprietario. Il volume dello stereo è altissimo, e spara musica ridicola, finta e scadente che nessuno sta ascoltando.
Qui sono morto. Qui divento paranoico, violento, ossessionato, ansioso, nervoso, depresso, e infine vecchio, molto velocemente. Qualcuno si è svegliato dopo 25 anni e non se n’era accorto che intanto gli era trascorsa la vita. Mi hanno condannato. Problemi di tempo, problemi di spazio. La cosa migliore da fare è continuare a bere.
Qui ci si può solo impiccare a un ramo del tiglio immaginario che domina la piazza, e che una volta la dominava per davvero, ma ora non c’è più nemmeno quello. Perché qui non puoi lavorare senza essere sfruttato. Perché qui non puoi scrivere, non puoi suonare, non puoi fottere. Non puoi essere padrone della tua vita. I veri padroni sono gli altri. Non sei libero di sognare.
Io dovrei vivere di notte per le strade di qualche città, e non qui in mezzo al deserto. Voglio vedere quanto fa schifo la melma umana che non sta mai ferma e che produce guasti, infezioni, malattie e decadenze. Stanotte la luce bianca di cattivo gusto che illumina il bancone sembra la luce che mi sta portando all’aldilà. La luce finale e accecante. Il vento fuori continua a muovere le foglie secche e le buste di plastica mentre io sfoglio le pagine del “manifesto”. E’ una totale paranoia. Mi guardo attorno, mi sento spiato e giudicato. Mi manca l’aria, trattengo il respiro, sono agitato. L’irpinia è paranoica.

Parlano di vestiti, i vestiti non mi interessano, sono stronzate. Vanno in discoteca, ascoltano musica da discoteca, solo quello. Sono accaniti con le carte, con il calcio e con tutte le stronzate e i passatempo che esistono al mondo. L’irpinia è una terra che sta a sud dell’europa, a sud dell’italia, e a sud del sud. Non la caca nessuno. E i ragazzi sono discotecari e si vestono imitando la moda americana e la moda milanese, formando un connubbio che risulta trash e tremendamente kitsch e di cattivo gusto. Più di cattivo gusto di quando io mi vesto strappato e puzzo e faccio schifo.
Serate senza senso, in cui se non ti diverti rimani da solo e devi solo andartene a casa.
Alla vigilia di Natale qualcuno che la pensa come me si sta facendo di eroina o di cocaina al freddo in una macchina con i sedili sfondati, e beve whisky. E si chiede perché.
Durante le feste la gente diventa strana e io divento più depresso e più paranoico.
Ci sono persone che escono solo alle feste e io mi chiedo che razza di persone siano. E mi capita di rivedere vecchie conoscenze, l’ex ragazza che sta con un altro felicemente, altre tipe che flirtano coi miei amici.
Diventa difficile trovare un posto tranquillo dove andare a bere, in un paese dove si conoscono tutti. Non si può stare salvi. Non si può cantare come in certe sere quando sto fuori e ho un po’ di cocaina con gli amici, “ we are safe tonight”, come cantavano i pearl jam. Cosicchè vedono i sintomi del tuo malessere e sei un’anomalia.
Bere durante le feste natalizie è ancora più triste.
Ogni Natale, per chi non ha empatia e non ha solidarietà, per chi non ha soldi o famiglia, è una concentrazione di inferno. Un morire ancor di più, perché vede solo macchine, soldi, vestiti, gente che corre e discoteche.
Ogni Natale di un uomo passato a bere e a farsi da solo è un fallimento del mondo. Ogni volta che un uomo si chiede perché Gesu Cristo ha fallito andando in croce.
Le famiglie e il calore spariscono perciò io ringrazio per quella famiglia e quel calore che mi è ancora rimasto. Non c’è nient’altro di umano al mondo, specialmente a Natale. Il resto, come al solito, non lo capisco e mi faccio da parte.

Lo stronzo di passaggio (con dedica a Tarek Deram)

-Ehi Jack ti stai lamentando come uno stronzo, se ce ne andremo di qui nessuno sentirà la nostra mancanza, e ne guadagneremo solo noi. Siamo tutti spacciati, chi più, chi meno – -Ehi, Jack, a proposito, ho calpestato una merda - .Così dicevo a Toni, una notte al bar.Nell’ultimo anno sono invecchiato di 15 anni almeno, e me ne porto almeno un centinaio addosso. Il mio cervello ha subito troppe brutte notti e troppi pessimi risvegli. L’estate della mia vita è finita ed è stata deludente, scadente. Speravo che il meglio non fosse proprio quella merda lì. Ho sprecato le mie migliori occasioni, e sono rimasto qui, non sono riuscito ad andarmene. Sono rimasto qui a marcire in questo posto di merda.Mi è sempre stato detto che se non sai fare niente non puoi andare da nessuna parte. Questa è la mia situazione. Con un po’ d’impegno potrei andare a lavare i cessi al nord ma la differenza a quel sarebbe solo chilometrica.Molti sono partiti da contadini e sono arrivati in svizzera per fare gli inscatolatori di ortaggi in fabbrica. Per loro però è una conquista sociale. Sui treni, sugli aerei per Berlino, per Londra, per Parigi, la gente è la stessa.Gli studenti con il loro portatile e i tipi con la valigetta, ognuno con il suo cellulare, e nessuno però ha un’anima. Si tratta di gente morta che si sposta da un posto all’altro. Tra chi fa il cameriere a Londra, chi studia a Roma, chi lava piatti in Germania, chi vende marijuana in Spagna. La propria anima non la si può rincorrere una volta persa. Non si può rincorrere nemmeno la poesia, capita soltanto a volte di avvertire delle situazioni irripetibili, del tutto impreviste, magiche e sorprendenti. Quella è la poesia. E’ un attimo isolato nella vita,un piccolo bagliore di luce, nella vita che ti stringe, ti abbraccia, e poi ti da un pugno in faccia, ti sbatte a terra, e non torni più com’eri prima. La vita si vive come un colpo di pistola. Non possiamo sapere dove andremo a finire ma siamo sparati in partenza. Non hai scelta e il colpo in canna è uno. In tutto ciò io devo trovarmi un lavoro di merda prima possibile. Mi è venuto lo schifo della vita universitaria, degli esami, dei professori, degli studenti, e di essere uno stronzo con pochi soldi in tasca dipendente dai genitori. Gli studenti sono la peggiore categoria. Sono quelli messi davanti a una televisione a fumarsi le canne, senza capire nemmeno cosa trasmette, con la bocca aperta e lo sguardo nel vuoto, fisso, e da coglioni. Un essere delle nullità viventi.Francesca l’altro giorno mi ha detto che devo farmi meno seghe, perché quando stavamo a letto non mi si alzava più nemmeno il cazzo. Non so se si è sbagliata anche stavolta, o se aveva ragione in pieno, o se il fatto è che sono sempre ubriaco o sempre depresso. Le lenzuola del mio letto sono macchiate di sangue mestruale di ragazze diverse che non ricordo nemmeno. Troiette che vogliono il cazzo e nulla di più. Ti lasciano non appena si rendono conto che hanno perso troppo tempo e devono riprendere la ricerca del loro Johnny Depp. Ho avuto la disapprovazione indignata di varie donne, ma loro non sanno che tra qualche anno nessuno più vorrà la loro fica, e forse quando sfiorirà la loro bellezza si metteranno un cappio al collo. Le ragazze si aggrappano agli uomini, si attaccano come Tarzan da un cazzo all’altro, ma va bene così, non mi interessa. Alcuni uomini invece parlano di scienza e tecnologie ma hanno il culo aperto per via di incontri ravvicinati del terzo cazzo.Su quel letto comunque, mi ci sono davvero impantanato, e non vedo l’ora di alzarmi.Devo andarmene di casa, devo affittarmi una stanza a Milano e vedere se col lavoro che trovo riesco a sopravvivere.Devo partire da questo maledetto sud.Essere del sud è come essere un drogato o un alcolizzato : hai sempre torto. Ma non importa, io avrei torto comunque.Nella mia vita tutto ciò che voglio è una stanza, un cesso, alcool, sigarette e nessuno con cui spartirmi la miseria. La musica ce l’ho in testa e mi aiuta ad impazzire senza coscienza. A volte mi vale di più una canzone che decine di ore passate a leggere libri.Sto per andare a perdermi ad Amsterdam e non mi troveranno più. Voglio drogarmi e sognare. Quando sei drogato e ubriaco sei fottuto lo stesso ma almeno puoi risalire, almeno puoi illuderti un attimo. Io so per certo che solo prendendo certe droghe si possono capire determinate cose. Io sono cresciuto nel momento in cui ho capito che la realtà è un incubo, che saremo cenere per terra. Che la verità è un dogma perché la verità reale è puttane, ladri e tossici.Potrei morire presto di questo passo, ma non mi curo della morte. Non mi piace vivere, lo trovo noioso e desolante, ma non ho mai provato a suicidarmi perché non si può fare. Il vero suicidio è nascere, spararsi in bocca è solo accorciare le distanze tra te e la morte.Io qui sono solo lo stronzo di passaggio, non duro qui. Lascerò tutti presto, lascerò quel che sono stato a breve, qui niente dura, niente rimane. Passando da un letto a un altro, da un posto a un altro mi sto consumando. L’unica cosa reale che rimane è il dolore.Preferisco isolarmi e non parlare con la gente. Solo whisky, penna, musica, foglio bianco e il mio angolino. Isolato e ubriaco è l’ideale.