venerdì 30 aprile 2010

Chiedi alla polvere

"A quelli che sono rimasti a casa potrete sempre mentire, tanto non amano la verità, non vogliono conoscerla, preferiscono credere che, prima o poi, anch'essi vi raggiungeranno in paradiso. Non pensate di imbrogliarli. Sanno benissimo com'è il sud della California. Anche loro leggono i giornali e guardano le riviste illustrate di cui sono tappezzate le edicole di tutt'America. Le fote delle case delle dive le hanno viste anche loro. Non hanno più niente da imparare."


da: "Chiedi alla polvere" - John Fante

lunedì 19 aprile 2010

Giornate inutili

Anche stasera per cena ho mangiato solo gli stuzzichini che mi hanno servito al bar accompagnati da vari campari – gin e birre. Questa è la mia classica cena. Non riesco a stare in cucina, a stare a tavola. Per me il tempo per mangiare non deve durare più di 5-10 minuti, altrimenti mi innervosisco.
Man mano che la gente sparisce da casa mia e si leva dai coglioni mi fa un piacere. In casa mia non voglio vedere nessuno, solo le bottiglie vuote a terra, e le cicche di sigaretta e i libri, le carte, e la polvere.
Avrò un carattere di merda, ma almeno io ce l’ho!
- Ma nemmeno una donna vuoi in casa? – Mi ha chiesto Billy
- Certo che no! – ho affermato parafrasando Alberto Sordi : - E che ti vuoi mettere un’estranea in casa? - .
Ma con questo non voglio dire che odio le donne, anzi ne sono visceralmente attratto. Anche se le donne che conosco non sono esattamente come in tv. Peccato.
Un ragazza che abitava nel palazzo a fianco al mio una volta mi disse, rispondendo alle mia avances :
- Luì non mi innamorerò mai di te, io mi innamoro di quelli coi soldi che lavorano! –
Era tutto ciò che doveva dire, e la ammiravo più di altre perché l’avevo detto. Avevo ammesso che tutte le donne per bene, “normali” e che si rispettino, guardano solo i soldi che hai in tasca, come sei vestito, e i centimetri del cazzo.
Era proprio vero che le puttane si trattano da signore e le signore si trattano da puttane.
Un’altra ragazza, del napoletano, una volta mi disse : - Luì perché parli in italiano? Sei frocio? Parla in dialetto che non ti capisco! - . Allora io parlai in dialetto nuscano e lei non capì lo stesso.
Il fatto è che capirsi con le donne non è un’impresa facile, ed essere realmente innamorato di una di loro neanche. Per amare una donna bisogna essere umani, e qui nessuno più è umano.
Oggi è una giornata di solitudine come tante, perché non ho niente da imparare e da vedere qua fuori dalla finestra. Se fosse possibile, oggi vorrei parlare solo ed esclusivamente con persone provenienti da altre nazioni.
Solo Gesù mi potrebbe salvare, se venisse accompagnato da una dozzina di birre.

Ma Gesù non c'è. Non so nemmeno dove mi trovo, sono in un non-luogo. Mentre cammino per queste strade diafane arriva solo un tipo in una mercedes, accompagnato da una bionda carica di gioielli e mi chiede :

-scusi, per Lancusi...-
-Qua è Lancusi...-
-Ah si? Ma il centro dov'è? -
-Qua è il centro...-. Mi ringrazia e se ne va, mentre io mi chiedo cos'è Lancusi e cos'è un centro.



Nella totale immobilità di tutte le situazioni, conosco solo l'asfalto e il cemento, asettico.
Insegne di negozi rotte, i vecchi con le peroni sul tavolino di plastica di qualche bar puzzolente, che guardano la via, ma non passa nessuno.Questo è il mio riflesso in questo fottuto angolo di mondo. I muri di cemento armato e i rifiuti edili mi ricordano che è tutto un cantiere. L'erba sfilacciata e malata sta per lasciare il campo. Interi campi di alluminio, di polistirolo, di mattoni, di tubi di plastica, di cartoni, di sabbia e cemento, di asfalto e sopra, le scie chimiche che creano un bieco e sinistro orizzonte. Hanno costruito e poi hanno abbandonato tutto, atteggiandosi a cittadini evoluti. E li vedi, gli uomini nuovi, prendere ognuno il proprio posto in fretta, e si rifiutano di uscire per non vedere nulla, rimanendo in casa appesi alla parabola per vedere la tv satellitare, le partite della domenica, del tutto insignificanti e scialbe, ossessivamente sempre uguali, come i mazzi di carte e i tavolini, e le sigarette intrecciate con cartine, filtri e tabacco scadente.Nessuno è presente tranne che nei loro gabinetti, nelle loro cucine, nei loro soggiorni, nelle loro stanze da letto come camere mortuarie.

martedì 6 aprile 2010

soli

Per sentirsi meno soli
scrivere suonare ubriacarsi morire,
pensando che c'è qualcuno come te
a cui stai gettando un'ancora
e stai lasciando una speranza,
come dire - qui qualcuno c'è!-.
Quando, chi si guarda i suoi interessi
è dietro l'angolo con te e non ti ascolterà mai,
perchè chi si espone non è un martire
ma un disgraziato,
o uno coi soldi.
Ed è del tutto inutile quindi scrivere per gli altri,
è tutto finto.
Qui, che scrive e che legge
non c'è nessuno.
C'è uno spazio morto.
Ci sono mille solitudini
in un corpo solo.

domenica 4 aprile 2010

Finis terrae

Due fari gialli nella notte corrono per il deserto della Basilicata indispettiti bevendo birra e fumando sigarette con la radio accesa, perché suo fratello sta con la sua donna, e gli amici, cattivi bastardi, pensano che non è buono; così và spedito, verso sud-est, verso il finis terrae , come un t- rex, sparato come un tuono.
Ci sono strade che ti seguono e non sei tu a seguire loro, e c’è una luna appuntita che li accompagna e li guarda, coricata su una stella, da quando sono partiti.
Corrono con loro, nella loro mente, tutti i mostri, gli animali, i ladri, gli assassini, gli avvocati e le puttane del loro mondo, in attesa di uno schianto, verso il finis terrae.
Intanto un’altra macchina in un’altra zona della terra, corre in direzione opposta, verso nord-ovest e non sa che sta andando a morire anch’essa. Stanno bevendo champagne e fumando pagliette, urlano, ridono, e sfrecciano con lo stereo a volume alto, come un bordello mobile. Non sentono l’ululato dei lupi, non vedono che la luna li aggira e li sta squadrando.
Corre la macchina a sud est, nella visuale di Roberto passano in rassegna le facce delle storie passate, e delle storie ancora in svolgimento. In quel momento la sua Jessica stava probabilmente nell’altra macchina, sfrecciando nella direzione opposta, in un’orgia di sesso e droga con Marco. In quello stesso momento, i suoi amici stavano scopando con lei. Nel medesimo lasso di tempo stava perdendo molti amici.

L’acceleratore andava giù sempre più pesante, verso i 180 km/h, incurante degli autovelox della Basentana. Si ricordava di quando Veronica lo portò nel campo di grano, della terra di sotto il Vulcano, di quando Ilaria lo lasciò in mutande a Roma, di quanto fossero lunghe, vuote e insopportabili le giornate nel suo piccolo paese.
Ormai era a 240 km/h , e si rese conto che non era il destino che lo seguiva, ma era lui che lo inseguiva, perciò non poteva scappare, non poteva rompere la sua gabbia, non poteva rompere le sbarre della sua prigione, e cercava qualcosa che lo uccidesse, per uscire. Pensava che fosse meglio morire che non poter essere sé stesso.
Stava quasi albeggiando, quando entrò a Finis terrae era ancora notte, ma qualche stella stava già morendo. Le stelle morivano, qualche stella addirittura precipitava bruciandosi ancora più in fretta, era strano che tutti a parte lui non capissero che stavano precipitando allo stesso modo della stessa e come lui su quella cazzo di strada.
Per tutta la vita, era stato sempre in un posto diverso, con una storia diversa, a sfuggire da qualcosa e ad inseguire qualcos’altro, ma ora le cose erano cambiate, niente più era con lui, dentro di lui, o fuori di lui, era in nessun posto, stava per valicare il finis terrae.
Nei posti dove era stato si era accollato le pene di tutti, come se vi avessero abitato in lui, e infelice aveva scrutato nell’aria i malanni, gli affanni, e la calvizie della vecchiaia.
Fu così che una notte in pieno inverno, confuso, triste, stanco, drogato, disperato, solo, con la puzza di pioggia che entrava dal balcone aperto della sua stanza a via delle Chaudet, si mise a scrivere il finale di una storia che ancora non conosceva e che non aveva capito, ma voleva che finisse e basta, forse era la sua storia. Ricordo che gli prese un senso di vertigine, come gli prendeva sempre quando era davanti a un burrone, anche se c’era la ringhiera.
Gli venivano spesso, presto capì che non era per la paura di finire giù ma per la voglia di buttarsi di sotto.
Scriveva al lume di una vecchia lampada “Fleming”, che emetteva una luce gialla polverosa, era solito avere sul tavolo sempre una bottiglia di Jack Daniel’s vicino allo stereo, e ascoltava un cd che avevo comprato in un mercatino dell’usato; quel giorno, quando entrò nel negozio e chiese alla ragazza dietro il bacno se c’era questo cd, lei lo trovò subito e mentre glielo dava era sopresa, perché fuori pioveva a dirotto e il mondo era una merda, e quel tipo con la faccia da disadattato stava comprando proprio quel cd esattamente in quel momento . (e una canzone d’un tratto diceva : “Come on Alex, you can do it”)
Anche il suo protagonista beveva bottiglie di Jack Daniel’s che teneva sempre sul tavolo, ma andava in giro con una Beretta calibro nove in tasca.
Lui era pronto per sparare i suoi colpi ora, adesso poteva sparare tutte le sue cartucce, si era liberato dal fardello di essere una persona per bene e rispettabile, era riuscito a lasciarsi dietro lacrime e sangue, e gente che parlava di lui tutto il giorno, in quel buco di mondo.
(Un bel giorno, quando aveva sedici anni, una ragazza gli disse di volare via con lei, gli disse che era qualcosa d’importante per lei. Erano passati vent’anni, e lui continuava a pensare a lei, ogni tanto la chiamava con un numero anonimo, lei rispondeva con la solita magnifica voce che aveva, e a volte lui pensava che lei avesse capito chi era, chissà forse qualche volta è stato così; non poteva più chiamarla da tanti anni, da quando lei si era convinta che fosse un fuori di testa, un ragazzo con seri problemi che non poteva aiutare, e del quale, anzi, voleva liberarsi. Ma lui continuava sapere tante cose di lei, sapeva che ora stava con un ragazzo di Roma e viveva lì, e lo sapeva perché questo ragazzo lo chiamò e lo minacciò varie volte. )
Roberto era passato definitivamente dalla parte di sotto e non sarebbe mai più tornato sopra,nel mondo dei buongiorno e buonasera.
La gente da tempo lo guardava come un tipo malato da dover evitare, ma la gente non si chiedeva come mai lui non voleva frequentare la gente, forse non si chiedevano se erano loro tutti a non essere alla sua altezza.
Quando passò Finis Terrae fu libero, felice, esattamente per un minuto e mezzo: Finis Terrae, la sua anticamera dell’inferno. Poi la macchina precipitò giù pesante come se non vedesse l’ora di cadere, a rallentatore, la terra era finita, si sentì un grosso tonfo nell’acqua; sprofondò nell’acqua come una nave, come nella sorte di migliaia di marinai e di pirati del mediterraneo nei secoli, in cerca di fortuna; nella fredda acqua salata, finì avvolto dal mare, i suoi polmoni si riempirono di acqua marina e scoppiarono. La morte stavolta, non era mai stata più reale, e si era liberato anche dal quel senso di vertigine che sempre lo inseguiva.