martedì 16 marzo 2010

30 calci in culo

Non sopporto più, non tollero più le facce delle studentesse e degli studentessi che affollano l’università. Questa grande scuola materna che stampa pezzi di carta per rimanere disoccupati al nord.
Le fottutissime studentesse che emigrano nelle città a fare le troie, e girano con l’aria da saputelle.
Che arrivano in aula alle 7 e mezza per seguire la lezione, si fanno occupare i posti da qualche sfigato, e già parlano, parlano, parlano, di cazzate, di scarpe, vestiti, programmi televisivi.
Tutte col cellulare nuovo che parlano e parlano. Ma che cazzo avranno da dire alle 8 di mattina?
Parlano, parlano, parlano e io non tolllero. Parlano, parlano e gridano al telefonino : - mamma, mamma ho preso 30 -!
30 calci in bocca vi darei, a tutti quanti.

Il mio è tempo perso, solo tempo perso!

Ma partiamo dall’inizio.

Il mio status era quello di studente universitario, oppure di nomade, o di extracomunitario. In realtà il mio vero status era quello di alcolizzato-nullafacente-mantenuto. Una merdina in un mare di caccole più grandi.
Ma infondo ne ero contento, volevo mantenere la mia reputazione di bevitore scansafatiche derelitto. Era sempre meglio di fare un lavoro di merda e andare in chiesa come gli altri stronzi. Era meglio fare il nomade, con la differenza che io avevo bisogno semplicemente di una stanzetta lurida e fetida dove cacare e vomitare.


Una mattina come tante, il corso universitario che andavo a seguire era condotto da un professore molto anziano e moribondo che puzzava di muffa e di morte, e parlava faticosamente e lentamente di Pascoli, insistendo morbosamente sul fanciullino. Forse anche lui si chiedeva il senso di tutto ciò.
Voleva morire, ci spiegava che il consiglio didattico l’aveva trattenuto con la forza a mantenere la cattedra e che a lui ormai non fregava più un cazzo, né di noi, né della sua vita ormai agli sgoccioli, né tantomeno della fottuta letteratura.
Restavo lì come una merdina a seguire il corso. Ero nell’esercito di coloro che cercavano il dannato pezzo di carta per andare a guadagnare uno stipendio. Mi candidavo ad entrare nell’esercito di coloro che cercano un lavoro, coloro che ormai sono considerati una vera e propria minaccia per la società. Sapevo bene che quando si và chiedere un posto di lavoro, vieni guardato come se volessi rapinare una banca, come se volessi ammazzare qualcuno e devi condurre la lotta con tutte le tue forze per entrare in quel mondo meschino, fatto di stronzi.
A volte nell’università mi sento accerchiato. Da un lato dell’aula i cattolici, talvolta ciellini, perbenisti e rigorosi nella morale, che sono scandalizzati dal fatto che vesti disordinato e scopi una sera si e una sera no. Li vedi nelle prime file composti ed educati, e attaccano manifesti per aderire alle loro fottute associazioni. Soffrono dei sensi di colpa inculcatigli dai genitori per il fatto di non essere dei veri studenti modello. Anche il 28 a volte, può essere un’umiliazione e una grave frustrazione. Vicino ai loro banchi si confondono i fedelissimi dell’istituzione, i cittadini modello, che sognano di diventare marescialli o carabinieri. Niente alcool e niente fumo, per carità, e mai nella loro vita che abbiano fatto un divieto d’accesso. Tolleranza zero verso gli extracomunitari, i froci, gli zingari, gli stranieri e quelli come me, ovviamente.
Dall’altro lato i filosofi comunisti (finti), che vogliono farti anch’essi la predica. Parlano di piccola e media borghesia, lotta di classe, proletariato. Termini che non significano un cazzo. Il mondo di distingue in due fasce: chi c’ha i soldi e chi no. Vanno in giro per l’università con la loro flemma e il loro stordimento cronico fumandosi le canne, e puzzano di sudore rivoluzionario. Ovviamente non leggono libri, non studiano e non sanno un cazzo. Molto spesso fanno parte della fascia di popolazione del mondo che i soldi ce li ha, o sono dei poveri cristi normalissimi e repressi.
Al centro della scena invece, ci sono le ragazze e i ragazzi immagine. Disperati inseguitori dei modelli proposti dalla tv. Appoggiati al muretto col cellulare ultimo modello per farsi notare e occhiali da sole all’ultimo grido, mutanda firmata scoperta e sopracciglia tirate. Le ragazze perse a farsi fotografie che poi metteranno su myspace o su facebook, lanciando bacetti, occhiolini e masticando gomme, vestite da troiette da bijotteria.
Fanculo le chiese, i partiti e le discoteche. Infondo sono la stessa cosa. Per quanto mi riguarda non andrò a pregare, non andrò a votare e non andrò a ballare. A volte davvero resta da chiedersi cosa cazzo viviamo a fare in questi anni.
Il minimo comune denominatore della mia generazione è la droga e il sert. La droga è l’attuazione del comunismo. E’ la vera rivoluzione democratica. Tutti si drogano, dal figlio del ricco, al figlio del pezzente, al figlio di puttana.

lunedì 15 marzo 2010

Al bar bettola

Non vivo da almeno quattro anni. Non parlo, non mi muovo, avrò detto in questi quattro anni al massimo cento parole. Andrei in giro a distribuire volantini lasciati in bianco. Sono depresso, sguardo nel vuoto, inferno nel cervello. Pensi che sta per venirti un infarto e infondo ci speri, per farla finita. Non hai i coglioni per farti fuori, se ce li avessi, non saresti depresso. La scorsa notte sono uscito da un incubo in cui una puttana scopava e poi si metteva a piangere. Più in generale, sono uscito da un paese di nomadi, e come loro, vago senza meta, sospeso in un lento e preoccupante scorrere del tempo.
Ho un bisogno urgente d’alcool. Sono molto più che depresso. Un gin , un whisky, un rum , una bottiglia di assenzio…il rimedio nel mio cervello grida : ”una bottiglia di vodka russa al supermercato, presto!”. “In tutto ciò è possibile che non hai le palle di piantarti direttamente una pallottola in testa?” dice un’altra voce.
Un altro giro ancora, l’alcool non sta facendo effetto. Vorrei trovarmi in un bar di una città sconosciuta con un temporale fuori alla porta. Mi accontento di questo ritrovo di pensionati, che tra bestemmie, imprecazioni e grosse e avide risate piantano le carte del tresette o del poker sul tavolo. I campari-gin e tutti i tipi di alcolici qui costano pochissimo. Con venti euro dovrei farcela a vomitare il cervello. Il discorso è chiuso con gli interlocutori: l’alcool è un ottimo e valido rimedio contro le crisi suicide. Altro che avere i coglioni…
In questa società contano solo due cose : la prima è essere belli e la seconda è essere ricchi. Il resto non conta un cazzo. A che serve lottare, affrontare, sopravvivere quando vuoi morire e andare all’inferno, quando è tutto inutile.
Ecco…ora l’alcool sta funzionando, i miei sensi si stanno chiudendo, il mio cervello si sta svuotando. Inizierei a farmi una mano di poker. Il gioco d’azzardo serve a redimere gli uomini, a metterli di fronte alla verità. Mi sento ricco , perché oggi in tasca ho solo 50 euro.
In questo locale si fuma e nessuno se ne fotte. E allora:- un altro, un altro campari gin! -. Coi soldi ce la faccio.
Ora invece passo al rum, una bella vomitata mi farebbe bene. Morire d’infarto non sarebbe male, sarebbe una bella morte. Ho gli occhi gonfi. Stasera se un mio amico si trasformerà in Babbo Natale. Avevo gli occhi troppo aperti e lentamente li sto chiudendo. Molto meglio così, perché serve un numero superiore di palle al mio numero di due. Probabilmente la luce la trovi solo nel buio, e così si potrebbe essere felici ed esultare per il semplice fatto di essere vivi e morire presto. Per la consapevolezza di cambiare questa situazione; o anche per il gusto di alcolizzarmi.
Se non mi pubblicano questo libro sarò solo uno stronzo e sarà meglio impiccarmi.
Sto con gli amici anche se non li conosco.
Mi sento a casa con l’alcool, una bottiglia di vicno, il gioco d’azzardo, la puzza di vecchio e la tv accesa come una lucina incomprensibile; qualche pizza da mangiare a tranci, lo stordimento, l’abbrutimento, così tanto genuino, fino ad annullarsi. Se Dio è un’illusione, forse rifugiarsi nell’illusione è la cosa migliore al mondo che esiste per noi comuni mortali. Ma di Dio, chi se ne frega. Preferisco l’illusione, sono troppo codardo per vivere. Forse in questo momento sono già ubriaco, avendo perso il conto dei campari gin e degli alcolici da pagare, e ora vado a vomitare in qualche cesso, tanto la morte sarà una liberazione.
Dormo poco…ma si… Non mi lavo neanche…va bene… figuriamoci se riuscissi a lavorare…
Ora è scomparsa anche la puzza che emano e finchè dura lo stordimento non ho bisogno di cercarmi un lavoro e una casa.
Ora io sono una speranza affogata in un bicchiere cantante, conosco la parola sconforto ed ho il cuore intasato di fuliggine. Il volto rattrappito. E’ tempo di febbricitanti corsie d’ospedale. C’è la voglia di non alzarsi dal letto, ci sono gli spasmi allo stomaco. Mi sveglio ogni mattina sputando sangue. La favola dell’uomo che volava sulla scopa sopra ai tetti è finita in malo modo: la scopa gli è entrata nel culo.
Non c’è nemmeno una stella nel cielo. C’è una casa dei morti più avanti, e un cancello con un crocefisso a lampadine a risparmio energetico. Dormiro lì, lungo il selciato. Oltre le inferriate le luci dei lumini, sole, coi fuochi fatui, scintille di decomposizione dei nostri corpi. I vermi già mi camminano lungo la schiena.
Il mondo si perde una gran bella cosa, una delle poche persone in grado di amare, il qui presente, che non ama nessuno.
Oggi non so come sto e non ho tempo,
mi viene solo dal cuore
di dire
VAFFANCULO

sabato 13 marzo 2010

Ed Vedder - "Can't Keep"

http://www.youtube.com/watch?v=Po6U4EeQ820

Iwanna shakeI wanna wind outI wanna leaveThis mind and shoutI've livedAll this lifeLike an oceanIn disguiseI don't live forEverYou can't keepMe hereI wanna raceWith the sundownI want a last breathForgiveEvery beingThe bad feelingsIt's just meI won't waitFor answersYou can't keepMe hereI wanna riseAnd say goodnightWanna takeA look on the other sideI've livedAll those livesIt's been wonderFull at nightI will live forEverYou can't keepMe here

Torniamo all'incipit, al purgatorio.

"Vita da bar" è un libro che ho scritto negli ultimi due anni. Un collage di storie diverse accomunate tutte dallo stesso bancone, in posti diversi. In questo libro si farà un percorso stranamente inverso, si partirà dal purgatorio non per ascendere poi al paradiso, ma per scendere più giù, gradualmente, agli inferi, passando per il bivio. Un percorso senza possibilità di assoluzione. E ripercorrendo tutti i gironi e le varie creature che li popolano, arriveremo all'ultimo anello, quello più profondo, dove ha sede, al posto di un improbabile diavolo, il bar.







Purgatorio



“Vi scrivo da questo cesso, come al solito, solita noia e troppe chiacchiere, troppe. Un paesino. Questo qui è un paesino che somiglia a un flipper, rimbalziamo da una parte all’altra come palline che non hanno un senso. L’unico modo per iniziare a sperare è andarsene. Amsterdam, Londra, U.S.A., scegliete voi la vostra meta, o rimanete nel cesso!”




Non leggo la Bibbia, non credo nei santi,non vado a pregare in chiesa, ma ogni tardo pomeriggio o sera vado al bar, e siedo dietro un bancone, dietro un bicchiere, l’unica cosa che mi fa sentire meglio.Stasera fa caldo, attorno c’è gente che si vuole divertire in mezzo a musichette da festa; dal reggae al latino americano passando per le ultime hit della dance:MERDA. Mi sta scoppiano la testa, mi sto cagando sotto, ho i capogiri. Cancellerei tutte le cose presenti in questo posto, rimarrei da solo, con una scorta di birra fresca, sopra al mio letto, con le tapparelle abbassate e un po’ di musica mia: Nick Drake; o mi passerei anche volentieri una settimana in ospedale a vegetare sul lettino del reparto psichiatrico. Gioco tra fuori e dentro il bar, come tra inferno e purgatorio. Dentro al bar, tu, il bancone e un cameriere, tra te e lui un bicchiere di liquido rosso, nient’altro. Fuori camminano come gli avvoltoi, ti entrano nel cervello, cercano di capire i tuoi pensieri dal tuo sguardo. La luce è fioca, bassa e pesante al neon, contribuisce allo stordimento, a una calma troppo calma che mette ansia. Mi guardano gli ottantenni, mi guardano le famigliole, le coppiette invece pensano ai cazzi loro. Non lo so che faccia ho, non so come appaio, il mio senso di realtà è alterato. Come se non fosse vero, un ragazzo d’un tratto passando mi chiede – ehi, a cosa stai pensando? - . Evidentemente sono un pesce fuor d’acqua - qui non si pensa- o forse un’anima buona fuori da un bar. Ancora una volta qualcuno mi sta parlando ma non riesco a sentire, così come guardo ma non riesco a vedere.Non appena in questo fottuto posto iniziano i giochi, e i “dandy” si iniziano a divertire, per me è finita, e mi conviene fare due cose :-“Bere e fumare di nascosto”, appeso a un bancone, o appeso a un lampione.Stasera nell’ambiente universitario c’erano quattro feste. Una festa di laurea, un concerto, un happy hour, una inaugurazione. Io ho studiato per ore e poi, uscendo dalla mia stanzetta ho scelto di andarmene al bar dove c’era meno gente possibile, quello dove i tipi prepotenti e ottimisti non ci sono insomma.Eppure qualcuno di troppo c’è sempre…avrei dovuto spostarmi di più o forse, il posto adatto a me, semplicemente, non c’è. Forse è che io cerco i bar, i fottuti bar del cazzo, invece di cercare un luogo anonimo, pacifico, clandestino, la mia stanzetta in un fottuto motel di una superstrada : l’Ofantina, ad esempio. Ci sono stato tante e tante sere, con ragazze più o meno decenti, e credo che ci tornerò, per forza d’inerzia. Ci tornerò perché non c’è un altro posto dove sento di non essere in alcun dove, in nessuna città, in nessun luogo, forse a metà, tra l’inferno e il purgatorio, dove sei anonimo in mezzo allo scorrere del mondo. O anche per stare da solo con i miei spettri, e sviscerare il passato, in modo da tirarne fuori una logica plausibile. Il passato è fatto apposta per torturarci, e gli animali, che non ricordano, non ne soffrono. Non puoi imparare dal passato, perché il destino non è mai giusto, e gli errori ritornano uguali, puntualmente. Il passato ti riporta al bar, inevitabilmente, su un crocicchio, su un bivio, sempre.Ho tutte queste cose da capire, anche se alla fine non c’è niente capire. Tornando al presente, esistono un sacco di animali, di tutte le razze, sempre più squallidi e viscidi, ed è per questo che le anime buone, in genere, bevono. Io bevo. Ma in disparte. Non sto con quei tipi che rullano canne, si fanno i rasta, ascoltano il reggae, ti dicono “fratello, peace and love”, e stanno sempre con quei cazzo di bonghetti. Che Guevara drogati e Bob Marley politicizzati. Io sono stanco di queste cose, di queste finte ribellioni asservite al potere, di queste stronzate, perché ho capito che non c’è nessun figlio di puttana o di santa nel mondo che non sia un pezzo di merda. Poi c’è chi si esalta per un’idea politica, e inneggia il nome di alcuni ladri. Chi pensa che un politico, un ricco, un imprenditore, un uomo che parla dall’alto della tv o di un fottuto palcoscenico di menzogne, gli potrà donare la salvezza. Girano come dei cazzo di falchi per affibiarti la loro etichetta di partito, cercando di portarti nel loro mondo di merda. In periodo di elezioni pensano tutti che sei un coglione e che riesci a credere alle loro stronzate. La democrazia è votarli per poi fargli fare quello che vogliono, farli ingozzare, e sentirci dire che il potere è nelle nostre mani. E’ una dittatura legittimata dal voto. A me, basta guardare le facce da un angolino di cesso. Le facce, sono la cosa più interessante che si può osservare, insieme al modo di camminare delle persone. In gran parte lasciano trasparire tutta la loro cattiveria. Al bancone stasera c’è una ragazza vestita di nero, con un drink che non sta bevendo e guarda il pavimento. Il suo viso è segnato, sembra scolpito profondamente, ha un trucco messo male di colori accesi, che la fa sembrare una puttana da quattro soldi. E’ piuttosto giovane ma sembrano uscirle già delle rughe dal volto, a causa dei cento ragazzi che l’hanno usata, scopata e poi lasciata sola. E’ intrisa di puzza di whiskey, tabacco e profumo scadente. Il suo ragazzo sarà un animale, stasera l’avrà picchiata di nuovo, e lei ha pianto, rovinandosi quel trucco esagerato. Poi è rimasta sola. Ha preso coraggio. E’ uscita e si è riversata nel primo bar che le capitava, purchè fosse semivuoto, e si è messa a bere. Ora è al quinto. Sta ripensando la sua vita. Un po’ di alcool può cambiare la tua visione, il tuo punto di vista, ti fa accettare le tue rovine e infine, ti dà un po’ di speranza. Lei, di speranza non ne ha, deve andarsela a cercare in un bicchiere.D’un tratto tossisco, lei si gira verso di me per un attimo, potrei portarmela a letto quando voglio, in fin dei conti non è male, non è molto alta ma ha belle gambe ed è snella. Io forse, sono esattamente quello di cui ha bisogno ora, e non è il caso, per cui giro lo sguardo e prendo una grande sorsata di birra. Non voglio grane. Il ragazzo potrebbe tornare indietro con una pistola per quanto ne so, e non sarebbe una cosa strana. Però mi piace. Ha un po’ la mia sfiga,forse. Il suo cuore, il mio cuore è grigio cenere.Se sei innamorato ti fottono. Se tu la ami più di quanto non ti ami lei, sarai scaricato e finirai a disperarti in un bar di merda o nella tua stanzetta rischiando di impazzire. L’amore ti fotte. Io non cerco relazioni stabili.Quando ti innamori di qualcuno devi sempre badare che questo qualcuno sia innamorato di te più di quanto lo sia tu.Quando poi ti scaricano, lo fanno sperando di farti soffrire il più possibile, usando come arma l’indifferenza. Fregandosene di tutto quello che sei e che rappresenti. E se tu stessi in mutande sul marciapiede a fare l’elemosina non si fermerebbero a guardarti. Possono lasciarti anche per sms, cioè con un fottuto messaggino sul cellulare, scrivendoti semplicemente –VAFFANCULO - , oppure più diplomaticamente – Scusa , sto frequentando un altro, non farti sentire più, ciao- . Quest’ultimo messaggio vuol dire che l’hanno quasi messa incinta. Troia.Si dicono tante cose sull’amore, ovviamente nessuna corrisponde alla verità, nemmeno questa. Quello che realmente mi tiene compagnia è un piccolo vinile e una dozzina di sigarette. Le facce parlano, non so la mia cosa dice – sicuramente nulla di buono - , ma non voglio guardarmi allo specchio. Meglio di no. Guardo le altre persone che bevono quando sto al bancone, o che passano nella loro fretta quando sto sul marciapiede. Hanno tutte lo sguardo indifferente e cattivo, sembrano uscite da un inferno, ognuna il suo, per conto suo.Io intanto, non sono di nessun posto, non appartengo più a niente . Il mio posto è la strada, il mio posto è nel purgatorio, nel bar, aspettando il giorno che non verrà mai.La cameriera mi guarda e ride, non so perché, e non ci posso fare niente, posso solo scrivere.