lunedì 14 marzo 2011

Apologia di un malato

Costruirsi gli inferni costa fatica, non è una cosa che te la danno gratis o che trovi al supermercato. Ti ci ritrovi dentro sapendo benissimo come hai fatto, perché e per come ci sei arrivato, quando hai fatto il primo passo la prima volta, ti ricordi tutto benissimo. E’ inutile mentire a sé stessi, è apologia di reato.
Senza qualcosa da bere la realtà è ben più scura, inizi a vedere gli scarafaggi che escono dalle pareti e il sudiciume depositato sul pavimento, ti inizi anche a guardare allo specchio.
Quella mattina anche il parcheggio era pieno, la mia macchina senza freno a mano, senza stereo ( se l’erano fottuto la notte prima) e non avevo bevuto niente.
Successe che a un certo punto ero in giro per i corridoi dell’università e mi ero scordato verso dove stavo andando: si era abbassata all’improvviso l’età degli studenti o si era improvvisamente alzata la mia. Erano tutti delle piccole marionette in processione talvolta inquietanti, tutte simili ma c’era il tipo frustrato, il tipo che al posto di scopare godeva dei suoi voti, la ragazza depressa perché non se la cagavano i maschi, quelli già in carriera prima del tempo e tanti altri piccoli puntini microscopici che procedevano nel silenzio del chiasso universitario.
Ero finito in un’aula, il professore era morto dentro, recitava una litania funebre per non assolverci e la recitava talmente bene da assorbirsi totalmente nel torpore di quel mattino da quel sole opaco che rimaneva incagliato nel grigio tutto attorno. Era una mattina che la gente si alzava dai letti e si affacciava alla finestra per vedere quanto era grigio il cielo, per stupirsi di come anche il cielo si fosse conformato a tutto il resto che c’era giù. Aleggiava nell’aria che mancava e nessuno osava dire il suo nome, nessuno osava dire di che si trattava né che se ne fosse accorto, non era come quando c’è il vento. La totale assenza di ogni movimento d’aria contribuiva a rendere chiaro che eravamo in una palude.
Chi era l’illuso? Chi si ubriacava e restava in disparte o chi stava lì in processione a fare la fila per un posto normale nella società?
L’ubriaco sa che niente è reale e si rende conto che va aggiustata la vita, va raddrizzata, non può restare così com’è.
Il professore era ormai solo una figura di quelle a metà tra verità e funzione, tra inferno e purgatorio, che si ripeteva in eterno.
Uscendo dall’aula mi intoppò una ragazza con un libro in grembo. Si iniziò a parlare del libro. Ecco che sotto la follia poteva nascere del sesso, l’unica cosa che poteva ristabilire i miei contatti con la realtà. Era di poche parole, anche questo era strano in un ambiente in cui le studentelle masticavano diecimila parole al minuto, tutte inutili. Pensavo o speravo che volesse fare un servizietto con me nel bagno, non lo sapevo o glielo leggevo in faccia. Non accadde niente ma si rifece viva il giorno dopo. L’aria era diversa, era tutto diverso, solo il torpore era uguale.
-Ciao Lu, volevo dirti una cosa ieri -
-Ehi dimmi pure, intanto vuoi un caffè? –
-No, accompagnami in macchina- . La tipa era da scopata in macchina dietro il parcheggio.
Non se ne fece niente anche lì.
-Cosa volevi dirmi? –
Mi sbottonò i pantaloni e iniziò a lavorare scrupolosamente. Era una ninfomane o una matta. Era esattamente quello che volevo e nel momento in cui accadeva la prendevo per una squilibrata. Intanto restavo lì e non mi muovevo. Mi saltò addosso, fu una cosa repentina. Saltellava su e ogni tanto dava un’occhiata all’orologio per vedere quanto stavo durando. Si fece imbrattare finanche gli occhiali. Si ripulì in fretta, si rivestì e io mi chiedevo quanto tempo aveva cronometrato.
-Comunque…- disse – volevo dirti che il libro te lo posso prestare - .
Avevo saltato un passaggio. Ah si, il dannato libro ! Rispuntava l’aula universitaria ma con occhi diversi.
“Ma tu scopi con tutti così?”. Volevo chiederglielo ma non lo feci. Era una ninfomane, aveva dei raptus improvvisi probabilmente ma chi se ne fregava.
Il sedile dell’automobile scricchiolava male, s’era spaccato. Avevo un giorno di fuori corso in più, non mi ero nemmeno fatto una sega, non avevo ancora bevuto niente, ero lucidissimo e si era messo a piovere.

martedì 8 marzo 2011

Il lusso dei matti


Il bidone è un giaciglio,

il marciapiede un tappeto,

un cesso a volte è una casa.

La tua barca è una panda truccata.

Il tuo amore è

Una donna ubriaca.

La tua vita è un manicomio ad personam

Così l’hai trovata e sfondata.

La tua verita urlata solo per te

in faccia ai lampioni e sui tetti

con il whisky impregnato nei guanti

è

il lusso dei matti.