martedì 13 marzo 2012

L'apocalisse

Mi trovavo nella casa di quand’ero bambino. Non mi ricordo come ci ero arrivato. Ero sulla terrazza circondato da tutti i miei amici alti poco più del doppio di un vaso di gerani. C’era Sebastiano, il più basso e chiaro, con i suoi occhiali grandi metà della faccia e Giacomo, scuro coi capelli crespi e i vestiti sempre rossi.
Doveva essere il compleanno di qualcuno, di cui mi ero completamente dimenticato.
Stranito com’ero fissavo l’orologio in cerca di un punto fisso da guardare lontano da occhi indiscreti e mi chiedevo perché passava il tempo.
Tra la tavola imbandita di coca cole, aranciate e patatine sulla tovaglia bianca e azzurra a quadroni e le inferriate marroni del balcone osservavo anche muoversi Sebastiano con una certa inquietudine.
I miei genitori erano una specie di conduttori della festa. Quando mio padre alzò gli occhi al cielo tutti seguirono il suo sguardo.
Vi era una striscia gialla abbagliante sparpagliata lungo tutto il cielo orizzontalmente che avanzava lenta e sembrava tagliare l’atmosfera e tutte le cose. Tutti si chiedevano cosa diavolo fosse.
Sebastiano spuntò fuori con la sua minuta statura e ridacchiando disse che era la carrozza dell’Apocalisse che portava il buio nel mondo.
Nessuno gli fece caso ma io mi avvicinai prontamente a lui e gli chiesi se le cose che diceva avessero un fondamento. Si trovò quasi in imbarazzo, cambiò affermazione poi concluse : -non lo so- .
Qualcuno decise finalmente di accendere la televisione. Era lì che succedevano le cose reali, non sul nostro balcone!
Rimanemmo tutti sbigottiti quando apprendemmo che alla tv era partito un conto alla rovescia per la fine del mondo messo bene in mostra su tutti i canali a reti unificate. Qualcuno si connetteva ad internet e tutti i blog e i social network erano invasi di commenti catastrofici e portavano il cronometro all’unisono.
Dunque era così, adesso ne avevamo le prove, era la fine del mondo e sapevano anche i secondi esatti che ci separavano dalla fine.
La mia festa di compleanno si tramutò in un lacrimatoio, dove ognuno si appoggiava a qualche divano o a qualche mobile come per svenire perdendo le speranze. La luce iniziò a scemare, il sole prese ad eclissarsi.
Non posso dire di non essere stato disperato in quel momento ma sentivo che erano state in qualche modo esaudite le mie preghiere. Volevo che tutto finisse, quello stupido mondo, quella stupida festa, quella stupida gente che avevo attorno costantemente, ogni santo giorno.
Nessuno faceva più caso alla striscia gialla nel cielo alla quale i giornalisti della CNN avevano dato nome di “starlight”. La purificatrice finale.
Si aspettava soltanto la fine. Quando mancavano ormai cinque minuti tutti smisero di fare i razionali o di pregare o di mostrare la propria erudizione in materia stellare e iniziarono ad abbracciarsi. Mi ritrovai abbracciato con tutti. Mancava solo la mia ragazza, chissà dov’era, di sicuro pensava anche a me.
Con il portatile sulle ginocchia si aspettava. La voce più raccomandabile era quella di mio padre che ci istruiva su quello che stava accadendo.
Meno tre , meno due, meno uno. Scattarono gli zeri. Non avvenne niente. Aspettammo altri dieci o venti secondi ma non cambiò nulla.
Era un’enorme bufala. Sui computer e sulle televisioni apparivano scritte che deridevano i creduloni con la promessa, da parte dell’ignoto regista del piano, di fare un fioretto a Pasqua per discolparsi.
Mio padre chiuse il portatile sulle ginocchia e gli uscì soltanto dalla bocca sospirando : - va bè…-. Poi ci fu il silenzio.
Ci avevano creduto tutti e tutti avevano iniziato a sperarci, e molti già avevano iniziato a sentirsi meglio e sollevati dal peso della vita terrena.
Mi veniva da piangere.
Le prime conseguenze furono che la gente cominciò a suicidarsi per la delusione. Avevano tutti intravisto una possiblità di definitiva serenità vicina e perenne e ora gli era stata tolta di colpo.
Si continuava a guardare la tv e il monitor dei personal computer.
Fui l’unico a chiedermi cosa diavole fosse stata quell’enorme striscia gialla che si vedeva nel cielo e pareva erodere tutto il creato. Fui deriso. Arrivò mia sorella, poco più grande di me a dirmi che ero pazzo per prima. Avevo avuto le allucinazioni, ma non ne ero sicuro. Cos’era veramente successo non lo sapevo più.
Ero solo certo di aver vissuto un’allucinazione collettiva e di essere stato l’unico a ricordarmene.
Ricordo solo che quando iniziai a vedere le montagne che si aprivano e sparavano lava nel cielo non volli piu spaventarmi. Vedevo torce umane che correvano impazzite e me le tenevo per me. Non potevo più credere a quello che vedevo con gli occhi.
Anche mio padre vedeva qualcosa, glielo leggevo nello sguardo pietrificato ma non voleva crederci più. Pensai che ognuno ormai avesse le proprie allucinazioni e ciascuno se le teneva per conto suo, avendo paura di raccontarle. Ognuno era solo con la sua allucinazione. Pensavo alla bellezza e alla goffaggine di quegli attimi in cui eravamo tutti uniti.
Mi ritrovai vicino a mio padre sullo stesso balcone di prima. Fumava una sigaretta e guardava fuori, senza nemmeno voltarsi mi chiese : - cosa vedi? – . Era come se dal suo sguardo plumbeo volesse farmi capire che anche lui vedeva le stesse cose ma che dovevo far finta di niente, come tutti.
Io risposi : - Niente…non ha più importanza - .

Quella mattina mi svegliai in ritardo e sentivo soltanto che emanavo una forte puzza di whisky, e intorno polvere di una stanza trascurata, una lancinante emicrania, una fitta allo stomaco e tanta voglia di vomitare.

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